Dax / Eurostoxx
Fuga dal Quantitative Easing

In principio fu la Bank of Japan. Che violò il sacro totem della politica monetaria, allargando il proprio bilancio a dismisura nel tentativo di vincere la trappola della liquidità: complice un sistema bancario gravato da crediti inesigibili – ricorda qualcosa?... – l’istituto di emissione nipponico acquistò tutto ciò che vantasse lontanamente un prezzo.
Risultato: tanto per restare agli anni più recenti, le dimensioni del bilancio della BoJ sono quadruplicate soltanto negli ultimi otto anni, superando di slancio i 400 trilioni di yen; pari all’83% del PIL nipponico.

A prima vista, l’espansione quantitativa giapponese ha funzionato nel senso di indurre una rivalutazione degli asset: reali – i prezzi dei terreni edificabili sono in crescita per la prima volta dall’inizio degli anni Novanta – e finanziari (i JGB sono saliti alle stelle, e il mercato azionario è risalito).

Ma un esame attento rivela come la correlazione sia risultata soltanto visiva, e parziale: mentre per l’appunto dal 2007 le dimensioni del bilancio della BoJ si sono moltiplicate per quattro volte, l’indice Nikkei non fa registrare da allora alcun progresso.

Ma gli investitori europei avevano bene in mente la più persuasiva correlazione sperimentata negli ultimi otto anni fra il bilancio della Federal Reserve e l’andamento dello S&P500, e hanno dunque salutato con favore la decisione assunta dal direttorio della Banca Centrale Europea, di proporre una propria versione di Quantitative Easing. Risultati? disastrosi…

Fra l’andamento dell’Eurostoxx50 e l’andamento del bilancio dell’istituto di emissione di Francoforte c’è sì una evidente correlazione; ma inversa: più si espande il bilancio di Eurotower, e più si contrae l’indice azionario europeo.
Le dimensioni del bilancio della BCE (in nero, scala di destra rovesciata nella figura in alto) hanno di recente superato la soglia dei tre trilioni di euro; ma da quando è stato lanciato il piano di acquisti di titoli di Stato e obbligazioni private, ormai più di un anno fa, il mercato azionario del Vecchio Continente ha mostrato una pendenza tendenzialmente negativa, eccezion fatta per alcuni rally correttivi.

L’atteggiamento delle banche centrali è stato un tantino schizofrenico: «gli stimoli prodotti non funzionano più? forniamo loro ulteriori stimoli!» Così, al QE è stato affiancato la NIRP: inquietante acronimo che rompe l’ultimo tabù, quello dell’inviolabilità del tasso zero della politica monetaria.
Gli effetti sono stati perlopiù negativi: lungi dallo svalutarsi, le monete interessate si sono rivalutate a causa dell’impennata dei rendimenti reali cagionata dal crollo delle aspettative inflazionistiche. Mortificati i propri margini di intermediazione, le banche hanno ridotto il credito anziché aumentarlo, provocando un ristagno dell’attività produttiva. E il mercato azionario non ne ha granché beneficiato.
Eppure sempre più banche centrali valutano la NIRP: se ne discute negli Stati Uniti, e si accingono ad infrangere la soglia dello zero diverse banche centrali minori.
Sullo sfondo, la mortificazione del risparmio. Rimasto tristemente isolato nel fondo del vaso di Pandora. E dire che maggiore risparmio equivarrebbe a maggiori investimenti, e quindi ad un aumento della produttività e della crescita potenziale.
Poveri investitori, bistrattati come non mai. Per essi, al momento l’unico consiglio che possiamo fornire, è di affrettarsi a convergere verso Rimini. Dove fra pochi giorni si discuteranno delle strategie per difendersi dalla NIRP. Il materasso non è un’opzione contemplata.

Un operatore professionale da molti anni attivo sui principali mercati finanziari mondiali. Continua...