La caduta degli Dei

- 17/06/2016
Che è successo ai banchieri centrali? balbettano, tentennano, nicchiano. Promettono quattro aumenti dei tassi ufficiali in un anno, poi due, poi almeno uno, poi si fanno condizionare dall’ultimo dato macro pervenuto come il più pollo dei trader, rimandando tutto al 2017 (e poi si vedrà). Giurano che mai, la nostra banca centrale non taglierà mai i tassi sotto lo zero, e poi a sorpresa entrano appieno nel club dei NIRP; ottenendo però l’effetto opposto a quello sperato: un’ulteriore rivalutazione del cambio. E poi esitano a tagliare ulteriormente i tassi, nel concreto timore di essere spubblicati dal mercato.
In questa rassegna in cui non abbiamo fatto nome per amor di patria, a salvarsi per ora è il nostro governatore Draghi. Un po’ per campanilismo, un po’ perché puoi pur sparare contro la Croce Rossa; ma se parli male di Draghi, la chiamano loro, la Croce Rossa.
Eppure, nonostante le notevoli aspettative delle vigilia, il bilancio del Quantitative Easing in Europa negli ultimi dodici mesi è stato tutt’altro che lusinghiero.
Partiamo dal mercato azionario. Dove la correlazione fra bilancio della Banca Centrale Europea ed Eurostoxx c’è stata, sì: ma inversa. Più si espande il bilancio, più la borsa scende.
Non che non lo si sapesse: da anni fra Eurostoxx (linea blue, scala di sinistra) e bilancio dell’istituto di emissione (linea nera, scala di destra rovesciata) sussiste questa relazione incestuosa. Per cui avrebbero ben dovuto saperlo, i trader che incautamente nei primi tre mesi dello scorso anno spinsero verso l’alto le quotazioni dei listini continentali, prima di soccombere ad una prevedibile legge di gravità.
Capite bene che, con un bilancio tornato sui (anzi: sopra) i livelli massimi di metà 2012, non è che sia del tutto beneaugurante per i listini europei.
E che dire degli spread?
«vedrete», ci dicevano, «con gli acquisti di bond periferici il costo di approvvigionamento per Italia, Spagna e altri stati dalle finanze pubbliche non proprio rosse si ridurrà sensibilmente».
Nulla di più lontano dalla realtà. Lo spread sui 10 anni fra Italia e Germania ha toccato un minimo il 12 marzo 2015; idem il differenziale fra Madrid e Berlino. Da allora, il premio per il rischio è cresciuto; passando da 90 a 150-155 punti base. E non parliamo del Portogallo: dove il differenziale è esploso da 130 a 340pb. Sarà un caso, ma anche in questo caso il primo acquisto da parte di Francoforte è coinciso con il minimo di spread.
Dice: ma una banca centrale si disinteressa dei mercati finanziari; non è la sua missione. A differenza degli Stati Uniti, la BCE non persegue l’effetto ricchezza; che fa sì che le famiglie, vedendo crescere la propria ricchezza patrimoniale (azioni e immobili), è incoraggiata a risparmiare di meno e a spendere di più.
Discutibile, se è vero che nel frattempo il tasso di risparmio è accresciuto, anziché essere scoraggiato da tassi nominali nulli se non platealmente negativi. Ma non divaghiamo.
Ci dicono: «l’obiettivo della BCE è quello di indurre una svalutazione del cambio, e pertanto uno stimolo alle esportazioni e alla crescita per linee esterne del PIL». Così dicono i manuali.
Peccato che, in termini medi ponderati, il cambio dell’euro punti verso l’alto dal giorno in cui Draghi ha avviato il programma di acquisti di titoli pubblici; e che non abbia alcuna intenzione di svoltare verso il basso.
Il responso dei mercati finanziari non è stato eccitante come ci si aspettava 15 mesi fa. Diciamo così: non ha corrisposto alle aspettative della massa.
Una facile obiezione: un banchiere centrale può legittimamente disinteressarsi della reazione dei mercati finanziari (investitori: prendere nota): l’obiettivo essendo la tutela e l’incoraggiamento dell’economia reale. Dopotutto, non è la piena occupazione e/o il contenimento dell’inflazione gli obiettivi statutari delle banche centrali moderne?
A questo punto, però, bisognerebbe valutare l’impatto effettivo delle misure adottate negli ultimi quindici mesi; e, soprattutto, il persistere dei benefici effetti del QE.
Ma, questa, come si suol dire, è un’altra storia…