Cosa sta determinando la direzione dell’Azionario USA

- 12/01/2015
È stata una settimana volatile per gli indici di Borsa americani che si è conclusa con un movimento al ribasso per via di diversi motivi tra cui ancora il calo del prezzo del petrolio, i timori legati al terrorismo e la flessione dei salari che è emersa dai dati sul mercato del lavoro del Governo.
I numeri relativi ai salari hanno quindi eclissato almeno in parte l’effetto della creazione di occupazione superiore alle attese e del calo del tasso di disoccupazione. Calo ancora una volta legato al tasso di partecipazione che ha toccato in dicembre i minimi di 37 anni.
Una dinamica che non preoccupa molto Peter Cardillo, Chief Market Economist per Rockwell Global Capital, che sottolinea come la partecipazione sia mancata durate tutta la fase di recupero dell’occupazione perché è cambiata la struttura del mercato del lavoro americano con alcuni posti di lavoro persi per sempre. Non sono convinta che sia solo questo il motivo del calo del tasso di partecipazione dato che è anche vero che, se alcuni posti sono andati perduti per via dell’avanzamento tecnologico, altri sono stati creati in nuovi settori dell’economia – vedi Internet e biotech. La mancanza di un aumento dei salari ha preoccupato il mercato perché indica che l’inflazione resterà ancora sotto l’obiettivo della Federal Reserve.
La deflazione, secondo Peter, sarà il tema dominante sui mercati per i primi trimestri di quest’anno. Delfazione che è già arrivata in Europa e si teme un contagio a livello globale. Peter sottolinea come la preoccupazione sui mercati statunitensi non sia più legata i fondamentali economici ma al pericolo deflazione nel Paese.
Ha ragione Peter, sentiremo parlare di deflazione tante volte nei prossimi mesi e il primo importante riferimento arriverà dalla Bce che il 22 gennaio potrebbe annunciare il tanto atteso (dal mercato) piano di acquisto di asset che secondo speculazioni potrebbe essere intorno ai 500 miliardi di euro.
Qui negli Stati Uniti secondo Peter la Fed non aspetterà ad intervenire sui tassi di interesse oltre il terzo trimestre perché l’economia continua a recuperare ad un ritmo regolare. Peter quindi non concorda con il Presidente della Federal Reserve di Chicago Charles Evans che ha recente auspicato un primo intervento non prima del 2016 proprio perché l’inflazione resterà inferiore all’obiettivo della stessa banca centrale americana fino al 2018.
La discesa del prezzo del petrolio, che per adesso non sembra fermarsi, complica ulteriormente la situazione. Peter è rimasto sorpreso dal movimento del greggio che, secondo le sue previsioni, si sarebbe dovuto fermare tra i $55 e i$60. Una discesa non giustificata dai fondamentali, aggiunge Peter, ma di natura esclusivamente politica, che si arresterà presto e lascerà spazio ad un recupero. Peter esclude quindi una flessione al di sotto dei $40 e senza dubbio non stima il raggiungimento dei $15 come ipotizzato invece da alcuni analisti.
La prossima settimana inizia ufficialmente la stagione di trimestrali che non entrerà nel vivo fino a quella successiva. Attenzione all’effetto del dollaro forte e del calo del petrolio sui conti ma soprattutto attenzione ad eventuali riferimenti alla difficile situazione in Europa da parte di amministratori delegati e direttori finanziari delle grandi multinazionali americane. Peter si aspetta una stagione di trimestrali ancora moderatamente positiva e sconta possibili delusioni da parte delle multinazionali per via dell’effetto dollaro forte. Il mercato tuttavia, conclude Peter, potrebbe non mostrare grosse reazioni alle trimestrali perché concentrato sul prossimo importante evento: la decisione della Bce del 22 gennaio.
* Lina Cagossi è video blogger @insidetheexchange.com.