Pianeta America
Ecco perché la Fed si trova fra l’incudine e il martello

Wall Street e le altre principali borse mondiali si trovano in quella che definiamo la “bolla delle banche centrali”. A dicembre, la borsa americana ha sperimentato un furioso rimbalzo, seguito da un immediato calo. Poco prima della recente svolta verso l’alto, il mercato sembrava pronto a scendere, e non poco. Il rimbalzo sembra essere stato incoraggiato dalla sostituzione dell’espressione «considerevole arco di tempo» con «pazienza», nell’ultima dichiarazione da parte della Fed. Benché non possiamo nascondere di essere contrariati dalla reazione del mercato sulla base di semplici parole, restiamo dell’idea che la deflazione, la sopravvalutazione e la politica monetaria della Fed abbiano cagionato una delle bolle più massicce della storia.
Non vediamo nulla che possa farci mutare idea. Ci sia consentito di rilevare come la politica dei tassi di interesse nulli e tre quantitative easing non solo hanno espanso il bilancio Fed a livelli senza precedenti, ma hanno cagionato anche vistose distorsioni dei mercati dei capitali. Con i ritorni sul mercato monetario azzerati, gli investitori hanno dovuto scegliere fra la borsa e i titoli di Stato. Una evidente prova di distorsione si rinviene sul mercato dei bond sovrani: il Decennale USA che rende il 2.16%, quello portoghese quota al 2.76%, quello italiano all’1.92%, quello spagnolo all’1.63% e quello tedesco allo 0.54%. Un ulteriore esempio di distorsione indotta dai tassi prossimi allo zero si riscontra sul mercato dei corporate bond americani, dove fioccano le nuove emissioni a fronte di rendimenti sempre più risicati. Peraltro, la maggior parte delle emissioni è stata impiegata per finanziare l’acquisto di azioni proprie, il che ha gonfiato artificialmente gli utili per azione, a discapito della solidità dei bilanci e dell’espansione dei ricavi.
È importante rilevare come la velocità della moneta sia rimasta sui livelli più bassi degli ultimi sessant’anni. Questa statistica dimostra che gli sforzi della Fed si stanno rivelando vani. Questo mentre la maggior parte delle commodity si colloca ai livelli più bassi degli ultimi cinque anni, senza mostrare segni di reazione: tutti sanno che l’energia sta collassando, con l’offerta che supera di gran lunga la domanda, e non manca chi sostiene che questo sarà il fattore che beneficerà l’economia e manterrà in salute il listino azionario americano.
Ma presto realizzeranno che il ribasso delle materie prime è alimentato dagli squilibri globali. L’Europa ad esempio sta facendo tutto il possibile per prevenire la deflazione promuovendo un QE: ipotesi che sarà votata alla prossima riunione BCE del 22 gennaio. Il Giappone ha tagliato le tasse sulle aziende per uscire da 25 anni di deflazione, e la Cina cerca di prevenire una crisi da bolla creditizia, specie ora che non sono più la locomotiva mondiale. E mentre tentano una faticosa migrazione da un’economia basata su Export e investimenti, ad un’economia basata sui consumi, incombe una crisi del mercato immobiliare locale. Esempi di turbolenze economiche abbondano in tutto il mondo.
Ad un certo punto la Fed aumenterà quest’anno i tassi di interesse, per la prima volta dopo sei anni, e questo potrebbe impattare negativamente sul mercato, come successe dopo l’esaurimento del primo e del secondo QE. D’altro canto, se ciò non avverrà sarà soltanto per il fallimento delle politiche che avrebbero dovuto rilanciare l’economia.
Tutti i fattori commentati sembrano urlare “deflazione”. Ma il mercato ignora il messaggio. Ad un certo punto però sarà costretto a farlo, e quando lo farà, la borsa ne prenderà atto dolorosamente.

Classe 1971, laurea cum laude in Economia e Commercio con una tesi di laurea sull'analisi tecnica dei titoli di borsa, si interessa da oltre venticinque anni di tecniche di analisi dei mercati finanziari. Continua...