Pianeta America
Il debito globale controlla l’economia globale (II Parte)

Diversi investitori e gestori hanno messo in guardia negli ultimi lustri circa i rischi rappresentati dall’esplosione del debito. Una leggenda come Stanley Druckenmiller ha segnalato le minacce per l’economia rappresentate dalle obbligazioni derivanti dalla sanità e dalla previdenza sociale: se tutti ricevessero ciò che si attendono di ottenere, a fronte delle attuali entrate fiscali il debito federale non sarebbe più rappresentato dai 18-19 trilioni di dollari che i candidati alla prossima presidenza ritengono scoglio minaccioso. Si arriverebbe invece ad una cifra astronomica: oltre duecento trilioni di dollari.
Se questo numero non vi spaventa; allora non vi spaventa nulla. David Stockman ha stimato in 80 trilioni di dollari il valore attuale netto di queste obbligazioni: ciò conferma il livello insostenibile degli obblighi assunti dallo stato. Stockman ha altresì esaminato la crescita del PIL e del debito globali dal 1994 in poi. Il PIL mondiale è passato dai 28 trilioni di dollari di 21 anni fa agli attuali 78 trilioni di dollari, per un tasso medio composto annuo del 5.3%; il debito nel frattempo è salito da 40 a 225 trilioni di dollari: fa una crescita del 9% annuale. Si tratta di una crescita del debito senza precedenti, e questo spiega perché l’espansione dell’economia risulta frenata. L’unico precedente simile è quello del Giappone del 1989.

In questo momento abbiamo il problema di restringere la politica monetaria; proprio mentre il resto del mondo ha adottato le nostre precedenti misure, stampando moneta e di fatto entrando in guerra valutaria. Circa la metà dei membri del FOMC sono “falchi” e propendono per l’aumento dei tassi di interesse. La restante metà sono “colombe”, e favoriscono il mantenimento della ZIRP. A nostro parere la Fed non dovrebbe agire sui tassi: i dati economici non lo prescrivono, e questo vale almeno fino alla fine del prossimo anno. Il debito ammassato è talmente consistente da rendere la ripresa molto fragile e incerta. E man mano che gli obblighi del governo diventano sempre più chiari, la ripresa rallenterà ulteriormente.
Da tempo argomentiamo che non solo non saranno aumentati i tassi di interesse, ma si farà ricorso altresì a misure eccezionali che ci rendano nuovamente competitivi con Europa, Cina, Giappone e il resto del mondo industrializzato, che si sta convertendo alle politiche di Quantitative Easing che abbiamo adottato per più di sette anni. Casomai crediamo che negli Stati Uniti si vada verso un QE4. Certo, i tre precedenti non hanno funzionato al 100%, ma si tratta dell’unica risorsa disponibile, a parte i tassi di interesse negativi; su cui abbiamo più di una riserva, perché se le banche devono pagare la Federal Reserve per godere del privilegio di custodirvi le riserve in eccesso, semplicemente cesseranno di accantonare riserve. E la gente non avrà alcuna intenzione di pagare per depositare il denaro in banca.
Nel complesso, sembra che il debito globale sia andato fuori giri e che inizierà adesso a restringersi, a fronte del continuo calo delle materie prime (il rame, fra tutte), che aggraverà le pressioni deflazionistiche in essere e deprimerà i mercati azionari. Non crediamo che lo S&P riuscirà ad avere ragione dei massimi annuali, e anzi pensiamo che presto conoscerà un nuovo ribasso.

Un operatore professionale da molti anni attivo sui principali mercati finanziari mondiali. Continua...