Pianeta America
L’effetto dollaro forte si sentirà a Wall Street

Venerdì di flessioni per gli indici di Borsa americani, ancora per effetto del dollaro forte e del continuo calo del prezzo del petrolio. Dopo i guadagni registrati dagli indici giovedì, che avevano permesso al Dow Jones di tornare ad un bilancio annuo positivo, venerdì l’indice è arrivato a perdere oltre 260 punti per poi recuperare dai minimi.
Il dollar index ha superato i massimi di 52 settimane e sorpassato quota 100 per la prima volta dall’aprile del 2003. E l’euro si è portato sotto 1,05 con gli econonisti che adesso vedono sempre più vicino un ritorno alla parità contro il dollaro.
Siamo in una fase di ribassi che porterà ad una perdita tra l’8% e il 10% per lo S&P 500, sottolinea Peter Cardillo, Chief Market Economist per Rockwell Global Capital, e non sarà repentina ma durerà due o tre settimane. Il mercato sembra convinto che la Federal Reserve eliminerà dal comunicato che seguirà la riunione del FOMC la promessa che sarà paziente prima di intervenire sul costo del denaro. Peter tuttavia non crede che accadrà e che non emergerà niente di nuovo dalla riunione della prossima settimana.

A pesare sui listini sarà invece ancora il dollaro forte, e il raggiungimento di quota 100 del dollar index lascia pensare che vedremo presto l’euro alla parità con il dollaro o addirittura a quota 98 o 99 centesimi.
La flessine dei listini tuttavia non durerà a lungo secondo Peter, servirà solo a cambiare aria e darà la possibilità di entrare nell’azionario a chi non lo ha ancora fatto quest’anno. Peter si aspetta infatti un recupero tra il 7% e l’8% dai minimi di questa fase, vale a dire un +17% o +18% alla fine dell’anno, grazie ad un economia robusta e alla mancanza di inflazione. Nonostante il dollaro forte le società’ statunitensi continueranno a crescere, fatta eccezione per le multinazionali e per le società petrolifere. Peter non concorda infatti con gli analisti che hanno rivisto al ribasso le stime sugli utili del primo trimestre e che sono per una flessione in media del 4,4% per le società che compongono lo S&P 500.

La riunione del FOMC sarà l’evento più atteso della settimana. I dati economici nelle ultime settimane hanno lanciato segnali contrastanti e quindi alimentato le speculazioni relative ad un intervento sui tassi più tardi del previsto. Secondo Peter la Fed non interverrà prima del previsto e non prima di fine estate per diversi motivi. I dati sull’inflazione mostrano ancora prezzi in calo e non a causa dei costi energetici ma a seguito della discesa dei margini, indicazione di pericolo deflazione non solo globale ma anche per gli Stati Uniti. I numeri miglioreranno in Europa ma saranno ancora relativamente deboli e mostreranno una crescita economica tra lo 0,1% e lo 0,3%, ancora stagnante. E poi c’è ancora la crisi della Grecia, ancora un problema reale per i mercati. Infine la situazione geopolitica è ancora incerta soprattutto in relazione alla crisi tra Russia e Ucraina, un tema ancora caldo per i mercati.

Oltra alla riunione del FOMC, la prossima settimana Peter guarderà a dati economici come il superindice, la produzione industriale e due indici preliminari sull’attività manifatturiera di marzo, il Philly Fed e l’indice Empire, che forniranno maggiore chiarezza sull’impatto del maltempo sull’economia.

* Lina Cagossi è video blogger @insidetheexchange.com.

Classe 1971, laurea cum laude in Economia e Commercio con una tesi di laurea sull'analisi tecnica dei titoli di borsa, si interessa da oltre venticinque anni di tecniche di analisi dei mercati finanziari. Continua...