Pianeta America
La “bolla della banca centrale” (II Parte)

A causa della politica dei tassi di interesse nulli, ad alcuni il mercato non appare sopravvalutato. Dopotutto, se un bond decennale rende il 2%, ottenere un analogo rendimento da dividendo azionario non deve essere così male. Ma, come affermato in precedenza, la crescita dei profitti delle aziende alla lunga replica la crescita dell’economia. E allo stato attuale la capitalizzazione di borsa è prossimi ai massimi in termini di rapporto al PIL. Ogni minimo o massimo primario di mercato è coinciso con un minimo o massimo del rapporto fra la capitalizzazione di mercato e il PIL. È forse questo il motivo per cui questa misura è fra le preferite di Warren Buffet. L’unica volta in cui questo indicatore è risultato più elevato è stato ai tempi della bolla della new economy. Oltretutto oggi questo eccesso si manifesta in condizioni di deflazione globale. Il dollaro si va rafforzando, il che scoraggia le esportazioni da parte delle nostre aziende multinazionali. Oltretutto pare che le imprese non abbiano capacità di incidere più sui margini di profitto.
Da anni argomentiamo di essere in un contesto deflazionistico. Sembra che il mercato ci dia ora ragione, dal momento che ben poche nazioni prevedono una effettiva inflazione nei prossimi dieci anni: lo si desume dal rendimento decennale delle obbligazioni governative: Stati Uniti, 2.19; Regno Unito, 1.97%; Italia, 1.81%; Spagna, 1.78; Francia, 0.82%; Giappone, 0.36%; Germania, 0.52%.
Ciò che accomuna tutti questi stati, a parte il fatto di essere democrazie, è che le rispettive banche centrali fronteggiano una “trappola della liquidità”, per cui bassi o anche negativi tassi di interesse non incoraggiano la spesa per consumi, e non scoraggiano il risparmio. A loro volte le aziende sono riluttanti ad investire in impianti e in nuova occupazione. Ciò è particolarmente vero negli Stati Uniti, dove l’anzianità media degli investimenti fissi nel settore privato è ai livelli più elevati degli ultimi cinquant’anni.
Ammettiamo di essere stati un po’ precoci, come lo siamo stati prima della scoppio della bolla della tecnologia e poi del mercato immobiliare. Ma siamo fiduciosi sul fatto che andrà a finire nello stesso modo. La borsa americana è cara, secondo gli standard fondamentali, e le attività finanziarie sono state gonfiate di valore dall’esperimento delle banche centrali. Un errore che ora si commette nuovamente in Europa, in Giappone e, di recente, in Cina. Questi mercati risultano influenzati allo stesso modo del nostro, piuttosto che dalla politica fiscale finalizzata alla crescita economica sostenibile. Il mercato resterà costoso fino a quando quoterà su livelli più ragionevoli, in relazione alle prospettive di crescita economica. Abbiamo sempre sostenuto che elevati livelli di debito sono il problema principale per la crescita, e che questo problema non sarà rimosso in breve tempo.

Classe 1971, laurea cum laude in Economia e Commercio con una tesi di laurea sull'analisi tecnica dei titoli di borsa, si interessa da oltre venticinque anni di tecniche di analisi dei mercati finanziari. Continua...