La fine del QE (III Parte)

- 17/05/2016
Chi scrive è stato fra i primi ad ostentare un atteggiamento critico nei confronti dell’operato della Federal Reserve: sin da quando apparve evidente che la politica monetaria adottata provocò la “Grande Recessione”. Greenspan fu nel giusto quando nel 1996 riconobbe che il mondo era sprofondato in una “esuberanza irrazionale”, ma poi cambiò atteggiamento quando Wall Street continuò a salire, argomentando che forse quella volta era diverso. Quando il mercato finalmente culminò nel 2000, avrebbe dovuto realizzare che la borsa era ai livelli di sopravvalutazione più marcati della storia. Non lo fece, e anzi nel 2003 abbassò i tassi di interesse all’1%, mantenendoli su quei livelli per un ulteriore anno. Ciò ha avviato la peggiore crisi finanziaria dai tempi della Grande Depressione degli anni Trenta.
Detto questo, siamo però convinti che se la Fed adesso decidesse di aumentare i tassi di interesse, nel momento in cui le altre banche mondiali proseguono con la politica degli stimoli monetari, i risultati potrebbero essere disastrosi. Se la banca centrale americana agisse nuovamente quest’anno (una ipotesi decisamente concreta), i tassi di mercato salirebbero, il dollaro si apprezzerebbe e il mercato azionario svolterebbe verso il basso. Se la Fed aumentasse nel 2016 i tassi per più di una volta, esaspererebbe le accennate reazioni del dollaro e di Wall Street.
Tuttavia, se il mercato azionario risentisse l’impatto del nuovo aumento dei tassi, sospettiamo che la Fed tirerebbe i remi in barca e accantonerebbe ogni proposito di ulteriore aumento dei tassi. In effetti, se temono la reazione del mercato come crediamo, potrebbero addirittura valutare un clamoroso QE4. Ma, a quel punto, gli investitori cesserebbero di guardare alla Fed come organismo in grado di risolvere i problemi, e il mercato reagirebbe in modo scomposto, riconoscendo che non ci sarebbe alcun rimedio alla crisi se non quello di inasprire la politica monetaria.
Se la Fed davvero aumentasse nuovamente i tassi, a giugno, o a settembre, o alla fine dell’anno; il mercato si potrebbe dimenticare la prospettiva di abbattere il massimo di un anno fa. Tutti i picchi fatti nel frattempo registrare, sono occorsi in un contesto di decelerazione della crescita economica (il PIL è salito di appena lo 0.5% annualizzato nel primo trimestre), di recessione dei profitti e delle vendite, e di sopravvalutazione del mercato: lo S&P quotando attualmente ben 22 volte gli utili realmente conseguiti.