Le borse sono surriscaldate? (Ultima Parte)

- 08/05/2013
Completiamo la discussione sull'eventuale surriscaldamento del mercato azionario americano, esaminando un altro aspetto cruciale in prospettiva di lungo periodo: il confronto fra il rendimento del listino di Wall Street e quello della principale alternativa di investimento; vale a dire i titoli di Stato. Correntemente, il dividend yield dello S&P si attesta al 2.1%: un dato che dice poco, se non confrontato per esempio con il rendimento dei Treasuries decennali. Che però si attestano su livelli ben inferiori: all'1.78%. In termini assoluti, investire in borsa è più redditizio, prescindendo per un momento dalla diversa rischiosità teorica dei due investimenti.
Un aspetto questo particolarmente complesso: la rischiosità è variabile nel tempo, e difficilmente misurabile. Più ragionevole misurare il "gap" fra azioni e bond, e individuare misure di eccesso in un senso o nell'altro. Ci si riferisce appunto all'Earnings Yield Gap (EYG): il dato grezzo è confrontato con il valore medio degli ultimi 30 anni, indi si procede a "normalizzazione" esprimendo la differenza in termini di deviazione standard. Come si colloca dunque l'attuale rilevazione dell'EYG?
In termini rigorosamente relativi, siamo a più di 2 deviazioni standard in meno rispetto alla media degli ultimi 30 anni. Una misura speculare rispetto a quella di settembre 1987, quando, a pochi giorni dal crollo del Lunedì Nero, l'EYG si collocava esattamente 2 deviazioni standard al di sopra del valore medio dei 30 anni precedenti.
E' un dato, certamente non definitivo. Ma fa sensazione rilevare come il mercato vantasse perlomeno una certa sopravvaluazione, in occasione del massimo del 2000 (se è per questo, per tutta la seconda metà degli anni Novanta). Sopravvalutazione che apparirebbe adesso assente.
E' giunto allora il momento di riassumere tutti i termini della questione. Nei precedenti interventi abbiamo esaminato la presunta crescita eccessiva del mercato, il livello relativo dei tassi di interesse, il livello relativo del Price/Earnings e oggi il confronto fra rendimenti di Equity e Bonds. Poiché tutte le misure sono state espresse in deviazioni standard, possiamo ora calcolare il livello medio della valutazione complessiva del mercato, sulla base di quanto finora discusso.
Abbiamo delle conferme: a settembre 1987 e a fine 1999 il mercato era davvero sopravvalutato e surriscaldato, sotto tutti i punti di vista. Ma a fine 2008 è risultato sottovalutato: pochi hanno colto questo aspetto, quattro anni fa, quando fu segnalato l'esaurimento del bear market ciclico del 2007-2009. Soprattutto, la sottovalutazione, lungi dall'essere corretto con il rialzo degli ultimi anni, si è ulteriormente accentuata dalla fine del 2011 in poi. Allo stato attuale, l'indicatore che media le quattro misure indicate segna -0.7, in una scala tipicamente compresa fra -2 (sottovalutazione) e +2 (sopravvalutazione).
E allora? posto che queste riflessioni, una volta rese pubbliche, portano tanto male da indurre il mercato a smentirle nell'immediato con una certa sollecitudine; la conclusione è che non si può dire che il mercato sia sopravvalutato, secondo le misure adottate: non siamo sui livelli del 1987, ne' del 2000. Certo, nel 2007 partì un pesante ribasso, non anticipato da questa misura omnicomprensiva. Una avvertenza che induce a non prendere per oro colato queste valutazioni. Forse allora intervenne un fattore (il boom del credito e del mercato immobiliare di metà decennio) che adesso appare assente. Certo non scopriamo niente: sappiamo bene che il mercato era una opportunità nel 2009, e su questo abbiamo costruito una posizione eccezionalmente profittevole.
Sicuramente altri saranno gli elementi che ci indurranno ad uscire dal bull market: come tempisitica, le valutazioni non sono mai state di aiuto per l'investitore. Ma, per favore, non diciamo che il mercato è sopravvalutato: è statisticamente insensato.
Legga anche la prima, seconda e terza parte.