Ma non è tutto rose e fiori...

- 26/08/2013
Triste doverlo riconoscere, ma chi scrive prova una genuina invidia per i tanti colleghi ribassisti che in questi quattro anni e passa hanno dissuaso gli investitori dal comprare azioni. Nonostante il rialzo dei mercati azionari (Piazza Affari in un anno ha guadagnato il 21%, dividendi inclusi, e non è stata nemmeno la migliore), la ribalta c’è stata per chi ha ignorato, minimizzato, denigrato e avversato il rialzo; non per chi l’ha previsto e accompagnato sin dagli albori, senza mai cambiare coerentemente idea.
Andrà a finire come sempre: che il solito Evangelista, da buon bastian contrarian, diventerà ribassista quando ormai tutti finalmente decideranno di fargli compagnia in questa battaglia solitaria. E si prenderà ancora una volta i fischi e le pernacchie di colleghi e investitori.
Certo, non è facile avere una posizione di mercato, una strategia. Ancora meno facile è mantenerla senza esitazioni ne’ incertezze: i media ci bombardano di informazioni ogni secondo e – come dicono gli americani – si rischia di vedere l’albero, trascurando la foresta. Insomma, si finisce per dare credito ad aspetti di breve periodo, che non inficiano il lungo periodo; o per dare importanza ad aspetti esogeni, trascurando il messaggio del mercato. Che poi alla fine è l’unico che conti.
Facile a dirsi, meno a farsi. L’analisi di mercato è una complessa alchimia. È un sintesi di diversi fattori, ciascuno dei quali va ponderato, e mai in egual misura. Come fare ad avere sempre una visione ferma e coerente? i fattori che vanno in direzione opposta (i cosiddetti outlier) non mancano mai; e spesso fanno tentennare, dubitare, balbettare.
Così, anche un rialzista della prima ora, come il sottoscritto, ad un certo punto si imbatte in aspetti che lo portano ad interrogarsi sulle prospettive di ulteriore rialzo. Aspetti certo minoritari, ma non sia mai che alla fine prevalgano: dopotutto, le maggioranze nascono come minoranze…
Uno di questi aspetti per esempio è il confronto fra i fondamentali macroeconomici e l’andamento di mercato. «La borsa va per conto suo, e non tiene più conto dei fondamentali», si sente ripetere a cantilena chi è rimasto a guardare in questi quattro anni e mezzo, e prova una punta di invidia mista a frustrazione. Mica vero: borsa e fondamentali sono andati a braccetto, e anzi se vogliamo la prima risulta attardata. Ma senza farne una questione di lana caprina, la correlazione c’è stata, eccome!
Prendiamo il mercato azionario, e rapportiamolo a quello obbligazionario: è il cosiddetto Stock to Bond ratio (SBR), e quindi misura la capacità di Wall Street di far meglio (o peggio) dei Treasury decennali USA. Bene, ora prendiamo lo SBR e confrontiamolo con l’ISM Index, un barometro abbastanza efficace dell’attività manifatturiera americana: non si somigliano?
Certo, di tanto in tanto si perdono di vista; ma poi la divergenza si ricompone. Fino a due mesi fa l’ISM Index ha mostrato un andamento deludente: un profilo discendente che perdurava dal picco di marzo 2011. E nel frattempo lo S&P galoppava…
Non è la prima volta: anche nel bull market del 2003-2007 l’ISM Index è sceso per diverso tempo, mentre lo SBR si arrampicava, confermando la legittimità della preferenze per le azioni ai danni dei titoli di Stato; e anche all’inizio del decennio scorso si è manifestato questo gap; poi colmato.
Il punto è: quando questo divario diventa patologico? Fin quando il messaggio dei fondamentali è trascurato dagli investitori? Magari lo spunto brillante degli ultimi due mesi è confermato fra pochi giorni, e l’ISM Index cresce ulteriormente, negando una debolezza congiunturale che poteva incutere qualche legittimo timore.
La parte inferiore del grafico mostra un suggestivo confronto: il rapporto fra SBR e ISM Index. Insomma, in che misura la finanza prevale sui fondamentali, se così si può dire. Un rapporto degno di nota, se è vero che delinea delle tendenze ben definite: si scorgono bene i picchi del 2000 e del 2007, che coincidono con momenti di grande importanza per i mercati finanziari, come sappiamo sin troppo bene. Ebbene, il rapporto SBR/ISM è andato ad incocciare a maggio contro la linea di tendenza che connette quei due mesi, ripiegando vistosamente.
Ci sembra un segnale d’allarme ben più significativo delle tante dissertazioni su debito a margine, su palloni aerostatici che esplodono e su raffronti improbabili, di cui abbiamo letto in queste settimane. Adesso insomma la relazione si è rovesciata: l’economia va meglio di quanto faccia il mercato azionario, stando alla inedita pendenza discendente dello SBR/ISM ratio. E questo, in qualità di Tori, è un campanello d’allarme che non dobbiamo trascurare.