Meglio non parlare dei fondamentali di mercato

- 09/10/2020
L'approccio fondamentale alla valutazione del mercato fornisce interessanti linee guida; sulla cui utilità sostanziale è però lecito diffidare.
Non di rado si enfatizzano aspetti isolati, trascurando la corretta visione d'insieme. Prendiamo il Price/Earnings, oggettivamente su livelli elevati: peccato che, dati storici alla mano, sia inutile nel prevedere l'andamento del mercato azionario nei prossimi dodici mesi. Negli ultimi quarant'anni, il coefficiente di correlazione fra un P/E di partenza, e il saldo conseguito dallo S&P500 nei dodici mesi successivi, essendo ZERO: nessuna capacità previsiva.
Il discorso cambio se estendessimo l'esame ai prossimi quattro anni e passa. Ma nessuno è interessato a dove si collocherà il mercato nel 2024.
Questo per rimarcare la fallacità di un approccio popolare, come questo. Popolare, ma insufficiente, e parziale.
Perché non si tengono conto di altri aspetti: il P/E è sui livelli del 2000, ma nel frattempo il rendimento del mercato azionario è crollato. Pochi giorni fa il rendimento del Treasury Note si attestava allo 0.6%. Vent'anni fa era dieci volte tanto: il 6.0%. Spostando la virgola, la questione cambia.
Se confrontassimo gli utili delle società quotate ai tassi di interesse, seguendo proprio l'approccio suggerito dagli analisti fondamentali, che tendono ad attualizzare i flussi di reddito futuri per ottenere il valore attuale di una azienda; otterremmo proiezioni bizzarre; maldigeribili da parte di chi giustamente vuole collocare il mercato nel giusto contesto fondamentale.
La figura in alto rappresenta il fair value dello S&P500. Gli utili operativi sono rapportati al rendimento dei corporate bond dal rating "BAA" (investment grade). Questo approccio ha consentito di rilevare nel 2007 una sopravvalutazione, corretta duramente nei diciotto mesi successivi.
Con questo approccio, il mercato poteva definirsi a fair value alla fine del 2018: lo S&P quotando esattamente quanto suggerito da questo modello. Da allora in avanti, però, è stata registrata una netta dissociazione.
Stando al fair value ottenuto confrontando gli utili conseguiti con il costo dell'indebitamento aziendale, oggi lo S&P dovrebbe quotare 3950 punti. Quota 3450 punti circa: 500 punti in meno del valore di equilibrio.
Ciò marca una differenza sostanziale rispetto al 2007. Allora la borsa era sopravvalutata. Oggi è, paradossalmente - e, se vogliamo, fastidiosamente - sottovalutata. Che abbia un senso pratico, se ne può anche discutere. Che sia un dato di fatto, oggettivo, che smonta le convinzioni di chi è rimasto ai margini del listino è altrettanto pacifico: meglio per essi non parlare di fondamentali. Sarebbe controproducente.