Pianeta America
Non cadere nel burrone non equivale a diventare ottimisti

Sebbene il sospiro di sollievo per lo scampato pericolo di default abbia consentito al mercato di raggiungere un nuovo massimo storico, le prospettive future restano scoraggianti. L’intesa volta a riaprire la pubblica amministrazione e ad aumentare il tetto del debito è un grosso cerotto, e non la soluzione, e rimanda soltanto il problema nel tempo. Nel frattempo, un’economia che già perdeva colpi mostra ulteriori segni di affaticamento. Vediamo almeno sei elementi che rappresentano una minaccia nel breve-medio periodo.

1) l’accordo non risolve nulla. Fra poche settimane il problema riaffiorerà. L’accordo ha portato alla costituzione di una nuova commissione parlamentare che o produrrà una soluzione di lungo periodo, o una proposta di bilancio per il prossimo anno fiscale. È un espediente visto e rivisto, con la differenza che nel frattempo le posizioni si sono ancor di più radicalizzate. Sarà difficile giungere ad un compromesso entro il prossimo 13 dicembre. E un nuovo scontro diventerà inevitabile con la prossima scadenza del 15 gennaio.
2) Parte dei motivi per cui il mercato è ottimista, è la convinzione che il tapering sarà rimandato almeno a marzo, viste le ripercussioni per l’economia dall’attuale incertezza politica. Ma il QE è stato ormai ampiamente prezzato dalle quotazioni, per cui ci si chiede quante volte il mercato possa scontare lo stesso fattore. Senza contare che a questo punto ormai i benefici eventuali del QE sono superati dai suoi effetti collaterali.
3) Con un’economia che cresce a malapena, la crescita del fatturato delle imprese va rallentando, mentre i margini di profitto distano il 70% dalla loro media di lungo periodo, e sono a minaccia di inversione di tendenza. Anche la crescita degli utili va rallentando, e le correnti stime appaiono errate per eccesso.
4) Anche prima dei recenti negoziati sul tetto del debito, la crescita economica oscillava fra l’1.5 e il 2% del PIL. La minore spesa pubblica in questo arco di tempo sottrarrà lo 0.2% annualizzato dal PIL del quarto trimestre, ma gli effetti sulla spesa di famiglie e imprese potrebbero essere ben più vistosi. Senza contare l’incertezza ipotizzabile nei prossimi trimestre.
5) Molti strategist ritengono che, a parte le vicissitudini a Washington, l’economia si vada rafforzando. Vorremmo tanto vedere i loro dati. La spesa reale per consumi su base annualizzata è salita dell’1.5% nel Q1, dell’1.2% nel Q2 e dell’1.3% fra luglio e agosto. Non sono livelli proprio recessionistici, ma quasi. Il settore immobiliare va rallentando, le imprese restano riluttanti ad assumere e investire, e la spesa pubblica va rallentando. E futuri intese su questo fronte passano da ulteriori tagli alle spese e maggiori imposte.  
6) Un’intesa all’ultimo minuto era largamente attesa, per cui non si può dire che si tratti di una sorpresa positiva. Al peggio il mercato è calato del 5%, il che suggerisce l’assenza di grosse opportunità. Il sentiment è prevalentemente rialzista e lo S&P quota 19 volte gli utili riportati. La situazione è molto simile a quella sperimentata ad inizio 2000 e alla fine del 2007, quando le condizioni largamente sfavorevoli furono ignorate dalla maggior parte degli investitori.

Giornalista finanziaria dalla fine degli anni '90. Continua...