Non è il solito ciclo restrittivo (I Parte)

- 06/01/2016
Un giornalista ci ha chiesto un parere sulle prospettive del mercato azionario a fronte dell’aumento dei tassi da parte della Federal Reserve. Gli abbiamo spiegato che, a nostro avviso, la fine della ZIRP e l’aumento del costo del denaro avrà un impatto negativo sul mercato. Al che il giornalista ha manifestato la sua perplessità, poiché nel passato Wall Street è salita quando la Fed ha aumentato i tassi di interesse. Gli abbiamo spiegato la differenza fra la situazione di oggi e quelle passate. Ne approfittiamo per riproporre qui l’articolata discussione.
1) La ZIRP è andata avanti per 84 mesi. In questi sette anni di tassi azzerati, e di sicuro inferiori a quanto avrebbero dovuto essere, gli investimenti in attività finanziarie a rischio sono aumentati. Nel frattempo il Quantitative Easing 3 ha avuto fine, e con esso gli acquisti di titoli di Stato e di Mortgage Backed securities. Quando in passato il QE si è interrotto, il mercato ne ha risentito.
2) Questa volta la Fed sta aumentando i tassi di interesse nel bel mezzo di una recessione di profitti, così come del settore manifatturiero; in essere da ben due trimestri.
3) Questa volta la Fed ha visto espandersi il suo bilancio, dagli 800 miliardi del 2008 agli oltre 4500 miliardi di oggi. Questa enorme massa di denaro prima o poi dovrà essere neutralizzata. Questa iniezione di liquidità non ha provocato una fiammata inflazionistica perché contestualmente abbiamo assistito al crollo di “V”, la velocità di circolazione della moneta. Questo perché siamo nel bel mezzo di una “trappola della liquidità”: la gente ammassa il denaro perché si aspetta eventi avversi come la deflazione, una crisi economica o una guerra. Tutte le trappole della liquidità si manifestano con tassi di interesse ad infimi livelli, e con fluttuazioni dell’offerta di moneta che non si traducono in aumenti dei prezzi al consumo. Per ulteriori informazioni, rivolgersi al Giappone, che con questo processo combatte da 26 anni, e nel frattempo rimane in deflazione.
4) Il debito del nostro governo non è rappresentato dai 18-19 trilioni di cui parlano i candidati alla presidenza degli Stati Uniti. Se includiamo anche gli obblighi assunti dal settore previdenziale e da quello sanitario, l’esposizione debitoria decolla ad oltre 100 trilioni di dollari.
5) Negli ultimi dieci anni il debito globale è cresciuto ad un ritmo di pressoché il doppio rispetto alla crescita del PIL. E l’indebitamento, come è noto, cagiona deflazione. Negli Stati Uniti la Fed si è accertata che la moneta in questi anni abbondasse. L’indice delle materie prime è scivolato ai livelli più bassi dal 1999, e non dista molto dai minimi degli ultimi venticinque anni. Quasi tutte le commodity avvisano di una imminente recessione.
Non crediate all’opinione di chi punta il dito contro il presunto eccesso di capacità produttiva. L’OPEC e la Russia, così come gli Stati Uniti, stanno pompando petrolio, e l’Iran presto seguirà in questa spasmodica corsa; ma il motivo per cui le quotazioni scendono, altro non è che la carenza di domanda! Questo ribasso proseguirà fino a quando le aziende non chiuderanno gli impianti estrattivi in perdita. È difficile ridurre l’offerta se le compagnie estrattive fanno tutto il possibile per mantenere in essere le attuali quote di mercato, pure se in perdita. L’unico modo possibile è far dichiarare loro bancarotta.
Nel frattempo la Cina rallenta, il Giappone va e viene dalla recessione, Brasile è in crisi nera e l’Europa combatte. Se mai la recessione fosse generalizzata, per le commodity non ci sarebbe alcuno scampo.