Perché siamo ancora ribassisti (I Parte)

- 10/05/2018
Abbiamo espresso diverse volte nel passato le ragioni per cui sul mercato azionario restiamo più ribassisti che mai. In poche parole, le nostre ragioni poggiano sugli effetti negativi della politica dei tassi ufficiali azzerati, sui tassi negativi in Europa e Giappone, e sulla transizione in atto dal Quantitative Easing al Quantitative Tightening. Senza considerare che il rapporto fra indebitamento e prodotto interno lordo continua inesorabilmente a puntare verso l’alto, negli Stati Uniti come nel resto del mondo.
Abbiamo discusso diverse volte degli effetti negativi indotti sulla crescita da un eccesso di indebitamento. La misera performance economica successiva alla fine della crisi finanziaria del 2008 è connessa altresì alle condizioni del mercato del lavoro, ad aspetti demografici, alla produttività e alle obbligazioni assunte con i programmi di spesa sociale. Nelle ultime settimane abbiamo rilevato come autorevoli commentatori abbiano iniziato a condividere queste riflessioni: iniziamo da Jim Grant, del Grant’s Interest Rate Observer. Grant di recente sulla CNBC ha affermato che il prezzo decisivo in un’economia di mercato è il prezzo della moneta, vale a dire i tassi di interesse. Poiché di fatto il prezzo del denaro è stato artificiosamente stabilito, attestandosi su livelli patologicamente bassi, le attività finanziarie di conseguenza hanno visto lievitare il proprio valore, raggiungendo considerevole sopravvalutazione.
Un altro modo per ponderare questi eccessi, è rilevare che incorporano un rischio non sufficientemente prezzato dal mercato. Lo diciamo da diversi anni che le borse sono sopravvalutate e presto entreranno in bear market. Sebbene siamo stati troppo precoci, è possibile che un bear market ora si manifesti.
Un’altra voce prominente è quella di Christine Lagarde, direttore del Fondo Monetario Internazionale. La Lagarde di recente ha affermato, riferendosi proprio ad uno studio del FMI, che il debito globale ha raggiunto i 164 trilioni di dollari: pari al 225% del PIL planetario. Due terzi di questo debito risiedono nel settore privato, mentre il debito pubblico nelle economie più avanzate è ai massimi dal Dopoguerra. Un eccesso di debito non solo implica rischi tutt’altro che gratuiti, ma tende anche a rallentare l’attività economica. Questo perché il capitale è impiegato per servire il debito, piuttosto che per finanziare nuovi investimenti produttivi. La Lagarde è anche preoccupata per una potenziale guerra commerciale fra le prime due economie del pianeta, che finirebbe per trascinare il resto del mondo. Condividiamo queste riflessioni, aggiungendo che i fattori negativi primeggiavano anche prima che le tensioni fra Stati Uniti e Cina raggiungessero l’intera opinione pubblica mondiale.