Perché siamo ancora ribassisti (II Parte)

- 15/05/2018
Sono passati sette anni da quando la National Commission On Fiscal Responsibility and Reform (nota anche come Commissione Simpson-Boles) pubblicò il suo rapporto. L’ex senatore Alan Simpson di recente ha sottolineato che il debito pubblico è aumentato di 7 trilioni di dollari negli ultimi sette anni. L’accusa è netta: entrambi i partiti hanno abdicato alle rispettive responsabilità, e nessuno si ferma un attimo per riflettere sulle pesanti obbligazioni derivanti dal corrente stato sociale. Senza riforme, questi oneri assorbiranno tutte le entrate fiscali. Senza considerare che se i tassi di interesse continuassero ad aumentare, l’esborso per il governo sarebbe drammatico.
La conclusione scontata è che si continuerà a stampare moneta per finanziare il deficit, svilendo il valore del dollaro. Secondo la Commissione, fra dieci anni il debito federale salirà a 29 trilioni di dollari, al corrente ritmo di spesa. Si potrà aumentare l’età pensionabile, o altro: in qualche modo l’emergenza previdenziale dovrà essere affrontata.
Come di recente ha scritto Jesse Felder sul rapporto omonimo, «l’impressionante performance della borsa americana potrebbe essere prossima al termine». Felder rileva come Wall Street adesso sia non solo ai massimi assoluti in termini di rapporto fra capitalizzazione e PIL; ma sia persino più cara di qualunque borsa emergente. Non possiamo che essere d’accordo: per anni abbiamo evidenziato lo spropositato livello raggiunto dal rapporto fra le quotazioni e gli utili effettivamente conseguiti negli ultimi dodici mesi. Anche tenendo conto delle stime per il primo trimestre, il corrente Price/Earnings si attesta a 22 volte: fossimo ad inizio ciclo, o comunque poco dopo una recessione, non sarebbe un problema; come è invece essendo a fine ciclo, e non distanti dalla prossima recessione. Con il deterioramento delle aspettative di crescita, la borsa risulta molto cara. Una contrazione del P/E non potrà che coincidere con il prossimo bear market.
Siamo sorpresi di constatare come tanta gente condivida le nostre aspettative sul mercato, sull’economia e sulla situazione del debito. E questo ci incoraggia a pensare che le conseguenze saranno presto raggiunte.