Piovono le critiche sulla Fed (I Parte)

- 08/02/2016
Il commento di un mese fa partiva dalla risposta fornita ad un cronista che ci ha chiesto come mai siamo così negativi sul mercato azionario; soltanto perché la Fed si accingeva ad aumentare i tassi di interesse. Candidamente aggiungeva che la borsa di solito sale all’inizio di un ciclo di aumenti dei tassi. Gli abbiamo spiegato la differenza fra il restringimento monetario di oggi, con fragilità e inefficienze che complicano il quadro, e quelli dei cicli precedenti. E gli abbiamo illustrato perché tutto ciò condurrà gli Stati Uniti diritti verso una recessione; con implicazioni probabilmente globali.
Il precedente commento è stato scritto alla fine di dicembre, poco dopo l’aumento dei tassi da parte della Fed. Prima di questo episodio in pochi si azzardavano a prevedere una recessione, da queste parti o nel resto del mondo. Tuttavia ora, e soltanto ora, leggiamo critiche all’operato della Fed, e tutti si affannano ad annunciare alle TV la probabilità che gli Stati Uniti entrino in recessione. Noialtri abbiamo criticato la Fed dai tempi di Greenspan, ma sempre in scarsa compagnia: raramente abbiamo udito lamentele circa l’inettitudine della banca centrale. Ora che il mercato azionario è in caduta libera, le critiche si sono moltiplicate.
Una argomentazione molto convincente è stata contenuta in un editoriale firmato da Martin Feldstein, apparso sul Wall Street Journal il 14 gennaio scorso. Il titolo dell’articolo era “Una Federal Reserve ignara dei suoi effetti sui mercati finanziari”. Siamo rimasti impressionati da quando questo articolo abbia replicato le argomentazioni che abbiamo proposto negli ultimi anni. Il fulcro dell’articolo era contenuto nel secondo paragrafo: «le quotazioni eccessive di borse sono una conseguenza diretta del Quantitative Easing (QE) della Federal Reserve. A partire da novembre 2008 e fino ad ottobre 2014, la Fed si è impegnata in un programma di acquisto massiccio di titoli pubblici unitamente all’impegno a mantenere bassi i tassi di interesse, nel tentativo di trascinare verso il basso anche i tassi di interesse a lunga scadenza. Il Chairman Bernanke ha spiegato più volte che l’obiettivo della Fed era quello di spingere verso l’alto il valore delle attività finanziarie, incrementando la ricchezza della famiglie e incoraggiando la spesa per consumi. Il recente FOMC neanche ha menzionato il rischio di tassi di interesse persistentemente bassi. Dal titolo dell’articolo, si capisce bene che Feldstein non si fida ne’ della Fed, ne’ del FOMC, che risulteranno incapaci di tirar fuori gli Stati Uniti dalla crisi in cui ci troviamo da sette anni.