Piovono le critiche sulla Fed (II Parte)

- 11/02/2016
Qualche giorno fa Bill Gross ha posto ai banchieri centrali una domanda dal tono sarcastico: «come sta andando a voi?», criticando praticamente tutti gli stessi sotto l’influsso delle rispettive banche centrali. Siamo lieti di apprendere che il leggendario fondatore di PIMCO la pensi come noi.
Di recente, anche Rand Paul ha criticato la Fed e tutto l’establishment finanziario, rilevando come gli Stati Uniti spendano ogni anno 600 miliardi di dollari in spesa militare: quanto spendono Russia, Cina, e altri otto stati messi assieme. Con gli ambienti della destra governativa che vorrebbero portare ad un trilione di dollari il budget annuale di spesa, mentre la sinistra vorrebbe spendere di più a livello domestico. Alla fine chi paga il conto sono i contribuenti, mentre lo stato si indebita al ritmo di un milione di dollari al minuto, per finanziare queste e altre spese. Come abbiamo più volte sostenuto nel passato, il debito federale e gli impegni derivanti dai programmi di spesa sociale e assistenziale, ammontano a 100 trilioni di dollari: una cifra mastodontica anche per un’economia da 18 trilioni di dollari all’anno. E questo spiega perché il PIL faccia fatica a crescere.
Di recente in radio si è sentita un’intervista a Lacy Hunt, con cui concordiamo in ampia misura. Il tema era le modalità con cui la Federal Reserve orienta i mercati finanziari controllando di fatto il prezzo della moneta, anziché lasciare che siano le forze di mercato ad intervenire in tal senso. L’operato delle banche centrali ha costretto i risparmiatori a scelte azzardate alla ricerca di rendimento, con conseguente aumento dell’esposizione al rischio. E non stiamo parlando soltanto dei comuni piccoli investitori: ogni giorno si leggono annunci di società che riacquistano le loro azioni, spesso con denaro preso in prestito. Come ha sottolineato la signora Hunt nella sua intervista, le aziende effettuano investimenti finanziari sul loro stesso capitale, e perdipiù a livelli eccessivi, anziché investimenti reali nel loro business. Questo fenomeno non depone a favore delle prospettive future della crescita economica; per non parlare del mercato azionario.
Da 15 anni commentiamo l’operato della Fed e il deficit spending del governo federale. La banca centrale non si può aspettare di controllare il prezzo della moneta, senza che l’economia e i mercati ne risentano. Aumentare ulteriormente i tassi rischierebbe di indebolire ulteriormente un’economia in affanno, che recupera dall’ultima recessione al ritmo più blando sperimentato dal Dopoguerra ad oggi. Allo stesso tempo, una cessazione del programma di aumenti dei tassi o un clamoroso ripiegamento getterebbe il mercato nel panico, sulla scorta della realizzazione che l’economia è davvero molto debole, e vittima di quella che abbiamo in passato definito “la bolla delle banche centrali”.