Pianeta America
Trump e la crescita economica (II Parte)

Potremmo indugiare all’infinito con le statistiche, ma a questo punto dovrebbe essere sin troppo chiaro dove andiamo a parare. La tesi di fondo è, al solito, che l’eccesso di debito ha rallentato la crescita. Questo si desume chiaramente dalle statistiche anemiche sfornate all’indomani della Grande Recessione. E per dirla tutta crediamo che il PIL del terzo trimestre (+3.2% annualizzato), risultato ben superiore alle attese, si rivelerà l’ennesima falsa partenza, specialmente alla luce della fastidiosa rivalutazione in atto del dollaro.
Mentre il debito saliva in orbita, la Fed procedeva noncurante ad espandere il proprio bilancio da 800 a 4500 miliardi di dollari. In altre parole, l’incremento del debito di fatto è stato in buona misura finanziata attraverso l’emissione di moneta. Ciò ha condotto ad un’inflazione delle attività finanziarie a livelli mai visti prima, perlomeno sul fronte del reddito fisso; e ai multipli più elevati della storia sul fronte azionario. Secondo i dati più recenti il Price/Earnings calcolato secondo i criteri “GAAP” si attesta a 24.2 volte: non sfuggono a nessuno i pericoli derivanti da simili livelli.
E questo ci riporta all’elezione di Donald Trump, e a cosa affronterà quando cercherà di implementare le politiche promesse durante la campagna elettorale. A marzo il tetto del debito federale, congelato dall’autunno del 2015, tornerà attivo, e diventerà di nuovo un tema di discussione fra gli investitori. Sarà divertente a quel punto constatare come i repubblicani saranno diventati amanti del debito, mentre i democratici cercheranno di porvi rimedio. Non è facile stabilire cosa succederà, ma di sicuro questo sarà uno dei catalizzatori di un potenziale bear market che prevediamo da un po’ di anni.
Crediamo che il presidente eletto seguirà il consiglio formulato di recente dal settimanale Barron’s: sfruttare il basso livello dei tassi di interesse, emettendo bond a 50 anni o anche più, al contempo tagliando le imposte societarie ad una aliquota neutrale del 22%. A fronte di un debito di 20 trilioni di dollari, ogni 25 punti base costituiscono 200 miliardi di interessi. Nel lungo termine, ciò avrebbe l’effetto di spiazzare altre spese. Almeno temporaneamente, un programma di investimenti in infrastrutture potrebbe giovare all’economia. Ma nuova spesa vuol dire nuovo debito, e quindi maggiore inflazione e spesa per interessi. Resta da vedere se Trump e i suoi consiglieri accetteranno il consiglio. Ma, dalla nostra prospettiva, vediamo altro denaro stampato, altre svalutazioni della moneta e ulteriori rischi per il sistema finanziario così minato dall’irresponsabilità della Federal Reserve.

Classe 1971, laurea cum laude in Economia e Commercio con una tesi di laurea sull'analisi tecnica dei titoli di borsa, si interessa da oltre venticinque anni di tecniche di analisi dei mercati finanziari. Continua...