Una disamina degli indicatori di sentiment

- 01/10/2013
Ci siamo lasciati alle spalle un impressionante mese di settembre. Entriamo nel IV trimestre con gravi problematiche fiscali da risolvere. E dire che sono passati nove splendidi mesi da quando - a fine dicembre 2012 - si discuteva dell'imminenza del fiscal cliff nel quale sarebbe precipitata l'economia americana, generando invertezze e minacciando crolli di borsa...
Come si ricorderà, quell'evento risultò del tutto ininfluente, e anticipò un impressionante rialzo, accompagnato da un crollo della volatilità. Ci si chiede se si possa ora replicare, se anche lo shutdown dovesse rivelarsi un "non evento". A tale scopo, sarà utile un confronto fra gli indicatori e il sentiment vigenti a fine 2012, con i livelli correnti. Se il problema del raggiungimento del tetto del debito non dovesse essere risolto in tempi brevi, un downgrade del merito di credito se non un vero e proprio default sarebbero di grande attualità prima della fine di ottobre.
Siamo sorpresi dall'entità di questi indicatori. La mentalità dominante con riferimento alle questioni fiscali in essere non si percepisce esaminando i vari responsi sul sentiment degli investitori. Senza contare che lo S&P oggi è più forte di quanto lo sia stato alla fine dello scorso anno, in termini di scostamento dalla media a 200 giorni. Si direbbe che le aspettative di mercato risultassero maggiori a dicembre che non adesso. Dal punto di vista contrarian, ciò è confortante.
Un dato particolarmente interessante riguarda le aspettative sul VIX. Sia a dicembre che oggi, il VIX quotava ad un consistente premio rispetto alla volatilità storica dello S&P. Ciò è abbastanza consueto alla vigilia di importanti appuntamenti esogeni al mercato. Ma il premio oggi è superiore al livello di dicembre.
Ciononostante, le posizioni aperte in call sul VIX sono le medesime di allora, mentre l'Open Interest sulle put è inferiore, il che si desume dal più elevato call/put open interest ratio attuale. Il fatto che sempre meno investitori si aspettino che la volatilità implicita si ridimensioni, per quanto sia mantenuta artificiosamente elevata dalle contingenti questioni fiscali, suggerisce che gli operatori in volatilità siano vulnerabili ad una implosione della medesima, così come lo furono a gennaio. Questa vulnerabilità ovviamente non è così grande quanto la probabilità che un accordo sfumi.
Alla fine, che si tratti di timori basati sulla dinamica dei profitti, sulle questioni fiscali o sulla politica monetaria, un ammasso di cautela grava sulla testa degli investitori, così come sperimentato per buona parte di quest'anno; il che induce le mani meno forti a rimanere ai margini del listino, rimanendo sottopesati o non investiti. Questo sentiment crea nell'immediato congestione, ma in prospettiva favorisce ulteriori rialzi del listino.
* Todd Salamone per Schaefferresearch.com