Pianeta America
Wall Street sale grazie alla Fed; anzi no…

Negli anni si è rafforzata una retorica che a prima apparenza faceva e fa presa nell’opinione pubblica: i mercati azionari sono cresciuti grazie agli stimoli straordinari prodotti dalla Federal Reserve; e poi, dalle altre banche centrali. Pazienza che questa argomentazione non sia stata proposta immediatamente: molti investitori sarebbero saliti a bordo di un treno generazionale dalla stazione di partenza, senza correre il rischio di rompersi l’osso nel collo prendendolo al volo nelle fermate successive.
    Siamo sempre stati dell’avviso che questo bull market abbia fornito chiara prova della volontà di venire alla luce nella primavera del 2009, e negli anni abbiamo fornito tutti gli elementi oggettivi che supportavano questa tesi. Fortunatamente questo orientamento è rimasto minoritario, a beneficio degli investitori che non si sono fatti persuadere dall’incessante rumore esogeno.

    Obiettivamente, era assai difficile resistere a questa logica: dopotutto, S&P500 e bilancio della banca centrale americana (linea blue, scala di sinistra) erano pressoché sovrapponibili; sicché, quando all’inizio dello scorso anno lo S&P500 era sui minimi, forte era l’aspettativa che l’esaurimento del programma di acquisti di titoli da parte della Fed sarebbe stato pagato a caro prezzo: dagli investitori che hanno osato sottrarsi alla retorica.
    Sono passati venti mesi da quel minimo, e Wall Street non ha smesso di scendere. Al contrario: noncurante dell’appiattimento delle dimensioni del bilancio della Fed, lo S&P è salito in orbita, facendosi beffe di chi ha proposto una tesi, più per proprio conforto che per convinzione.

    Come è possibile che la borsa americana – e, a ruota, tutte le altre – sia salita nonostante la Fed abbia sollevato il piede dal pedale dell’acceleratore? Facile, argomentano i digiuni: «mentre la Fed ha tirato i remi in barca, le altre banche centrali hanno stampato euro, e yen, come se non ci fosse un domani; dimostrando che Bernanke al confronto è un dilettante».
    Ma è proprio vero? Il dubbio, osservando il confronto, è lecito…

    Nella figura in alto abbiamo calcolato il valore dei bilanci di Fed, BCE e BoJ, avendo l’accortezza di convertire il controvalore di questi ultimi due, in dollari; onde pervenire a valori omogenei.
    Ci sono due problemi che emergono pressanti:
1)    Se si accettasse questa logica, bisognerebbe concludere che la dimensione dei bilanci delle banche centrali del G3 continuerà a crescere, perlomeno fino alla prima metà del prossimo anno. Niente inversione di tendenza, per ora;
2)    a ben vedere, la correlazione fra borse e G3 balance sheet potrebbe essere casuale. In caso contrario, non si spiegherebbe perché mai le borse siano scese nel 2007-2008, quando i bilanci delle banche centrali mondiali puntavano dimensionalmente verso l’alto; e perché le correzioni del 2011 e del 2015-16 non siano state previste con questa metrica.

A questo punto sorge un sospetto: e se le borse salgono, semplicemente perché salgono i profitti delle stesse società in esse quotate? Certo, fa molto logica 1.0; ma, a ben vedere, si tratta di una correlazione che sta battendo tutte le altre. Dopotutto, non c’è mai stato un bear market che non sia coinciso con una recessione dei profitti.
Strano che non venga tenuta in debito conto...

Charles L. (Charlie) Minter è uno dei fondatori della Comstock Partners, Inc., una società costituita nel 1986 e attiva nelle gestioni patrimoniali. Continua...