Piazza Affari
Ancora Toro, almeno qualche mese

Pubblichiamo l'intervista concessa da Gaetano Evangelista, amministratore unico e responsabile dell'Ufficio Studi di AGE Italia, a Claudio Kaufmann, direttore responsabile di ITF News. L'intervista è stata rilasciata a margine della pubblicazione del 2017 Yearly Outlook, il famoso rapporto che in 150 pagine delinea le prospettive dell'economia e dei principali mercati azionari e finanziari per i prossimi dodici mesi. Una ricerca sempre più apprezzata dai professionisti del risparmio gestito e dagli investitori professionali.

DOMANDA. Parliamo dai mercati azionari, dagli Stati Uniti: dopo 8 anni di rialzi, c’è ancora benzina?

RISPOSTA. Cosa se ne fa l’economia di tutta questa liquidità in circolazione?
Prendiamo gli Stati Uniti: se calcoliamo l’offerta di moneta, togliamo da questa la variazione della produzione industriale e consideriamo anche la variazione dei prezzi alla produzione, otteniamo una liquidità in esubero che finisce conseguentemente in borsa.
Per cui sì: se la mettiamo in termini di liquidità esuberante per le esigenze dell’economia: c’è ancora benzina. Sicuramente meno di un anno fa, ma sufficiente a naso direi ancora per parecchi mesi.
 

D. I debiti sul pianeta sono aumentati dal 2009 in poi, siamo a quota 57 trilioni i dollari. Inoltre, Donald Trump vuole nuovamente deregolamentare il settore finanziario, come se il caso Lehman Brothers non avesse insegnato nulla. A quando la prossima Apocalisse?

R. Questo dipende sempre dalla benevolenza del creditore. Non esiste una soglia magica, superata la quale scoppia la crisi del debito. Il debito in se’ non è tossico; ma se non si generano risorse sufficienti per ripagarlo, e se ad un certo punto si pongono in essere politiche economiche che portano ad un aumento dei tassi di interesse; i problemi non tardano a manifestarsi.
Certo è che la favola del deleveraging, a cui tutti abbiamo creduto, si è rivelata tale: il debito è cresciuto rispetto alla crisi del credito del 2008.

D. Per anni le banche centrali, a partire dalla Fed, hanno pilotato i mercati, con politiche ultra-espansive e tassi anche sottozero. E’ un capitolo chiuso? E’ solo questione di tempo per l’inversione del ciclo?

R. Ho la sensazione che le banche centrali abbiano esaurito il loro compito. E perdipiù ne sono consapevoli: la stessa Bank of Japan, che ha promesso ferro e fuoco se i tassi decennali salissero sopra lo zero, sta a guardare, pietrificata, temendo di essere impallinata e ridicolizzati.
Sì, penso che ormai la politica monetaria abbia fatto il suo corso. Ed è un bene voltare pagina.

D. Ma l’inflazione sta tornando davvero?
R. Nell’immediato, sì. Il gap fra crescita potenziale è crescita effettiva – il cosiddetto “output gap” – si va chiudendo. La risalita dei prezzi delle materie prime e l’abbandono della deflazione in Cina hanno favorito prevedibilmente la crescita dei prezzi al consumo nel mondo occidentale.
Questi fattori però raggiungeranno il loro zenit nel mese corrente, per cui molto probabilmente l’inflazione headline svolterà verso il basso con la release mensile che sarà resa nota ad aprile.
Alla fine avremo “un po’ più” di inflazione. Meglio: le borse forniscono i risultati migliori quando i prezzi al consumo crescono fra l’uno e il tre percento annuo.

D. Tu scrivi di globalizzazione al tramonto. Sicuro, sicuro?
R. Dobbiamo essere tutti grati alla globalizzazione, che ha favorito il boom economico degli anni Novanta. La sconfitta della povertà, e la crescita dei redditi per abitante della Terra, sono incontestabili. Sfortunatamente, dalla globalizzazione c’è da ricavare molto poco. Lo stesso accordo TPP, per ammissione degli stessi proponenti, avrebbe prodotto un aumento del PIL globale di appena lo 0.2% nell’arco di 15 anni.
L’elettorato vuole meno globalizzazione, e temo sarà accontentato. I problemi qui sono due: anzitutto il soggetto chiamato ad esaudire questo orientamento è il meno qualificato a produrre soluzioni efficienti e non dispendiose.
In secondo luogo, il declino della globalizzazione conduce a demagogia e populismo e, storicamente, alle guerre.

D. Sarà un secolo cinese o americano? E’ sembrato che la Cina avesse iniziato una marcia inarrestabile per la leadership economica sul pianeta. Che sta succedendo?
R. La Cina ha un grosso problema di debito che sarà necessariamente affrontato, una volta spentisi i riflettori sul congresso del partito comunista del prossimo autunno. Il mercato monetario riflette questi squilibri, e il mercato obbligazionario propone da tempo tassi di interesse vistosamente crescenti. I creditori fiutano le crescenti tensioni, e impongono un maggiore premio per il rischio.

 
Pechino aspira a diventare una potenza economica globale. Ha appreso dagli Stati Uniti che questo è il passaggio intermedio necessario per aspirare ad un ruolo egemone globale.
Ma, al tempo stesso, la Cina è alle prese con un difficile cambio di paradigma di crescita: da economia basata prima sulle esportazioni e poi sugli investimenti; ad un’economia basata sui consumi. Non sarà semplice.

D. A parte Brexit e Trump, ci sarà ancora la UE fra 5 anni? Intendo dire: può reggere una moneta unica in un’area economica così frammentata fra vari paesi? Prendiamo i tassi della Bce: come potranno mai andare bene sia per la Germania che per la Grecia o l’Italia?
R. Non c’è dubbio. Il tasso di cambio, come i tassi di interesse, risultano di stimolo in alcune aree dell’Unione, e restrittivi in altre. Un’Unione doganale e poi monetaria è destinata a soccombere, se non seguita in tempi rapida da una unione bancaria e soprattutto fiscale.
Non vorrei però che questa argomentazione costituisse un comodo alibi. La crescita economica potenziale nell’Eurozona è inferiore all’uno percento annuale. Colpa di una convergenza verso il basso della crescita della forza lavoro e della produttività. Che cosa c’entra la moneta con questi fattori demografici ed economici? Poco o niente...

 
Io vado maturando la convinzione che l’Unione Europea troverà nuove motivazioni dai fattori esogeni che ben conosciamo: il trumpismo compatterà il Vecchio Continente, insolitamente rapido nel cercare nuovi accordi commerciali (vedasi quello di questi giorni con il Messico).
Senza considerare che le grandi sfide globali, come quella dell’immigrazione, richiedono decisioni centralizzate che soltanto un organismo sovranazionale può garantire.
Penso che fra cinque anni l’UE e l’Euro saranno più vigorosi di oggi.

D. A proposito di Italia, declino inarrestabile? Altri anni di Orso in piazza Affari?
R. L’Italia ha goduto in questi ultimi tre anni e mezzo di fattori di stimolo eccezionali: il sostegno della Banca Centrale Europea, che di fatto ha finanziato il governo acquistando sul mercato secondario oltre 200 miliardi di BTP; ma anche il crollo del petrolio e la svalutazione dell’euro. Tutto questo ci ha avvantaggiato, finora.
Ma si tratta di fattori una tantum, eccezionali. I nostri antichi problemi di crescita demografica zero e di ristagno della produttività – caso unico in Europa: Spagna e Francia ci surclassano, per dire. Con buona pace di chi non trova di meglio che incolpare la moneta – ci condanno alla crescita zero o poco più.
Soprattutto, come ho spiegato nell’Outlook annuale, l’impulso creditizio è diventato vistosamente negativo. Godiamoci i buoni dati macro di inizio anno, perché dalla primavera in avanti cambierà la musica.

 
D. In conclusione, sulle borse principali vedi un 2017 bullish? E quali le aree da privilegiare?
R. Penso che i mercati azionari smaltiranno ancora per qualche settimana i recenti eccessi. Ma nel complesso il primo semestre dovrebbe rivelarsi benigno per i mercati azionari, pur con eccezioni anche vistose da area ad area. Abbiamo proposto in sede di 2017 Yearly Outlook i mercati azionari e in generale finanziari dalla prospettive più brillanti per l’intero anno: sono sicuro che gli investitori che ci leggono ne potranno apprezzare la consultazione.

La competenza dell'ufficio studi di AGE Italia, eccezionalmente al servizio dei lettori di smartTrading. Continua...