Ftse Mib in condizioni estreme: meglio uscire? Scenari attesi

- 28/01/2020
Di seguito riportiamo l’intervista realizzata a Gaetano Evangelista, amministratore unico di AGE Italia.
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I mercati azionari stanno fronteggiando i timori crescenti legati al coronavirus in Cina. Quale impatto si aspetta da questo fenomeno e cosa provocherà sulle Borse UE e Usa nel breve?
Se dessimo credito allo script storico, non ci sarebbe da preoccuparsi: dalla SARS al virus zika, passando per influenza suina e H5N1, il mercato ha sempre salutato con favore queste epidemie, conseguendo un minimo proprio quando la minaccia è divenuta pandemica.
L’unica non irrilevante differenza rispetto al passato è che questa volta siamo arrivati all’emergenza sanitaria con il mercato sui massimi e non, come nel passato, in calo.
Detto questo, credo però che i tempi fossero maturi per un salutare consolidamento. Che buffo, fino ad una settimana tutti gli autoesclusi dal rialzo profetizzavano e quasi raccomandavano uno storno, e ora che le Borse cedono qualche punto percentuale, si scatenano le profezie di sventura.
Come dicevo, lo storno era maturo. Il sentiment era oggettivamente sbilanciato tutto da un lato, e si registrava un pesante ipercomprato di lungo periodo. Sull'S&P500 da diverse settimane l’analisi della regressione lineare suggeriva la possibilità di un top. Mancava un catalizzatore. Puntualmente pervenuto dalla Cina.
A Piazza Affari il Ftse Mib ieri si è riportato sui valori di fine 2019, annullando l'intero vantaggio da inizio anno. Quali scenari si possono ipotizzare ora?
Purtroppo Piazza Affari ha pagato ancora una volta l’incapacità di spingersi oltre l’arcinota resistenza attorno ai 24mila punti.
Questo è davvero un crocevia decisivo per gli equilibri di lungo periodo. Lo sanno pure i muri che quella soglia è decisiva.
Meno nota era la condizione estrema raggiunta negli ultimi tempi da Piazza Affari.
Per scoprire con anticipo quando iniziare a tirare i remi in barca, ci serviamo di un indicatore che di solito compie un egregio lavoro in questo senso.
Come si può vedere, l’infimo livello raggiunto di recente segnala una condizione che nel passato non ha escluso ulteriori massimi; questo, però, prima di sostanziali e duraturi declini.
Il messaggio è che non possiamo escludere nel 2020 quotazioni superiori ai 24.000 punti di Ftse Mib, ma il breakout, ammesso e concesso che mai si manifestasse, alla lunga si potrebbe rivelare una falsa rottura.
L'euro-dollaro è in bilico sulla soglia degli 1,10, mentre il petrolio continua a rotolare senza sosta. Cosa può dirci di questi due asset?
Sul petrolio siamo stati facili profeti quando due settimane fa abbiamo raccomandato la vendita: in splendida solitudine, mentre tutti si eccitavano per i venti di guerra dal Medio Oriente.
Succedeva all’epoca in cui i fondi speculativi erano massicciamente lunghi sul greggio.
Una posizione decisamente sbilanciata risultata fatale: è mancato il carburante del rialzo, mentre i primi declini hanno costretto a vendite al meglio da margin call, e il fenomeno si è successivamente autoalimentato.
A dirla tutta, non penso che il minimo sul Crude Oil sia a portata di mano.
Di riflesso, penso che il dollaro sia destinato a trarre beneficio da una fase in cui l’Equity compie qualche passo indietro, il processo di ripartenza della congiuntura internazionale conosce sperimenta qualche passo falso, e il rilassamento degli investitori segna il passo.
Ho avuto modo di leggere il vostro Outlook annuale. Come sempre una mole impressionante di analisi e previsioni per il 2020. Fra i tanti aspetti discussi, mi ha colpito l’affermazione secondo cui l’analisi dei fondamentali non serve. Può spiegare meglio?
Non è che non serve. È che gli investitori danno a misure come il Price/Earnings il rilievo sbagliato.
Statisticamente, dico proprio dati alla mano, fra il P/E calcolato con gli utili degli ultimi dodici mesi, e la performance di Wall Street dei prossimi dodici mesi c’è correlazione zero.
Nulla. Non serve a niente il P/E di oggi per stabilire cosa faranno le borse da qui ad un anno.
Il discorso cambia, e molto, se si allarga la prospettiva. Se prendiamo un dato P/E, e lo confrontiamo con la performance annualizzata dei prossimi cinque anni, scopriamo con piacere che sussiste una correlazione (inversa) di quasi l’80%.
O quattro quinti di quello che farà Wall Street nel 2020-2024 dipendono da quanto valeva il P/E (una particolare versione di P/E) alla fine dell’anno passato.
Più è elevato il CAPE, meno brillanti saranno i ritorni nel prossimo lustro.
È una informazione potentissima, che serve a stabilire quali piazze disprezzare in una allocazione di lungo periodo: quella americana, per esempio.
E serve per strutturare un portafoglio da cassettista, selezionando proprio le borse dal CAPE più elevato.
Ma, avendo letto il nostro 2020 Yearly Outlook, questo lo sa già.
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