Piazza Affari vaso di coccio… ne siamo sicuri?

- 06/05/2013
Che anni idilliaci, stanno attraversando gli investitori. Il migliore dei mondi: non solo le banche centrali forniscono liquidità abbondante e a buon mercato, memori degli errori drammatici della Grande Recessione e del “Ventennio Perso” in Giappone; ma si trovano in sintonia con i governi, che adesso giudicano con maggiore cautela la strategia dell’austerità ad ogni costo. Nel frattempo gli utili aziendali decollano, e l’economia cresce quel tanto per restare lontano dalla recessione, quel tanto che basta per scoraggiare le autorità a restringere la politica economica. Così, i segnali dell’analisi tecnica scattati più di quattro anni fa sono tutti ancora al loro posto, e il bull market gonfia le plusvalenze di portafoglio.
Si dirà: “bella forza! Peccato che non ci riguardi”. In buona parte, l’obiezione è sensata: fra le prime 21 borse al mondo per capitalizzazione, Piazza Affari vanta negli ultimi 50 mesi la seconda peggiore performance, con un misero +9.7% che risulta lusinghiero soltanto per chi ha avuto la disavventura di investire in Cina (+4.6%; dividendi e fattore valutario esclusi, ovviamente) nel medesimo arco di tempo. Tutti gli altri mercati dalla fine di febbraio 2009 hanno conseguito ritorni a doppia cifra, e sette borse (Germania, Sudafrica, Singapore, Stati Uniti, India, Messico e Russia) addirittura a tripla cifra.
Chi legge sarà certamente più sollecito nell’individuare i probabili o presunti motivi di questa debacle relativa. Se dopo un bear market devastante, in quattro anni abbiamo messo da parte un rialzo di pochi punti percentuali, chissà cosa faremo al prossimo giro di danza con l’Orso. È anche vero però che gli indici italiani raffigurano una realtà viziata. Viziata dall’ingombrante presenza di un settore che ha zavorrato il listino: quello bancario.
Se supponessimo che gli investitori fossero sufficientemente razionali da stare alla larga da un settore particolarmente disprezzato, avversato, martoriato, sottocapitalizzato come quello bancario, la performance del listino italiano sarebbe molto meno pesante. Al contrario.
Naturalmente si tratta di un “big if”, come si suol dire: per esperienza, l’investitore tipo è poco razionale e avvezzo alle scommesse; per cui si tiene lontano dalle azioni il cui grafico termina nel vertice in alto a destra, e predilige le azioni il cui grafico termina nel vertice in basso a destra. Se si fosse rimasti alla larga dalle banche, però, piazza Affari le sue soddisfazioni le ha fornite.
Tant’è vero che a fronte dei risultati deludenti degli ultimi tre anni (-11.5% nel 2010, -24.3% nel 2011 e +8.3% nel 2012 per l’All Share); l’indice generale, con esclusione dei bancari, ha conseguito saldi sempre relativamente migliori (rispettivamente: +8.0%, -23.8% e +17.5%). E al termine del primo quadrimestre di quest’anno, il confronto è ancora una volta favorevole: 11.5 contro +3.6%, con il mercato, al netto dei bancari, correntemente ai livelli più alti degli ultimi due anni; sempre, dividendi esclusi (peraltro, ridotti al lumicino nel settore bancario).
Questo, non per stuprare i numeri fino a quando rivelano una verità a noi gradita; quanto per evidenziare come anche la borsa italiana abbia partecipato al bull market, seppure in misura meno accentuata. Le opportunità non sono mancate, tutt’altro. Era sufficiente stare lontani dalle banche…