Un bull market "all'italiana"

- 04/06/2013
Ha scatenato un acceso dibattito, all’ultimo IT Forum di Rimini, la rivelazione dell’andamento dell’indice di piazza Affari, “al netto” del settore bancario. D’accordo, si tratta di una scelta discutibile: nel 2000 se si fosse rimosso dagli indici di Wall Street il settore tecnologico, con i suoi assurdi multipli da bolla, il Nasdaq non sarebbe apparso così ingiustificabilmente sopravvalutato e a rischio di implosione. Ma dopotutto, che cos’è un indice se non un compromesso circa la rappresentazione che del mercato si vuole offrire? A giugno 2009 il comitato che gestisce l’indice Dow Jones Industrial fu chiamato a decidere quale società inserire nel paniere al posto della uscente General Motors. Il ballottaggio era fra la stellina un po’ appannata Cisco e l’astro nascente Apple. Fu scelta la società operante nelle infrastrutture informatiche. Bene. Ma se fosse stata inserita Apple, ancora lontana dai fasti degli anni successivi, il Dow Jones avrebbe probabilmente raggiunto i 20.000 punti, trascinando tutti gli altri indici, americani e globali, per la gioia scatenata degli investitori di tutto il mondo.
Dopotutto, è realistica la rappresentazione che dell’economia italiana tratteggia l’indice MIB? Così sbilanciato verso la finanza, da trascurare il settore manifatturiero? Nell’attuale configurazione, l’indice MIB ha fornito una rappresentazione distorta del mercato azionario. Lo scopo dell’esperimento era appunto quello di mostrare, in un classico esercizio di “what if”, cosa sarebbe successo se nel listino italiano non fosse stata presente nemmeno una banca.
L’indice proposto rappresenta una media semplice delle performance di tutti gli indici FTSE Italia All Share sub-settoriali: sono 18, escluso il bancario, come riporta il sito di Borsa Italia. In questo modo, si fa emergere la performance media di tutte le azioni italiane: tutte, tranne quelle del settore bancario.
Grande la sorpresa nel rilevare come negli ultimi dodici mesi, l’All Share ex Banks Italia vanti una performance del 38%, dividendi esclusi.
È un risultato clamoroso, ignoto ai più, ma realistico. Ripetiamo, tolte le banche, tutte le altre 200 e passa azioni del listino milanese hanno fornito una performance annuale che supera abbondantemente il 40%, in termini (medi) complessivi.
D’altro canto, basta poco per rilevare come negli ultimi dodici mesi, ben 18 azioni abbiano conseguito una performance superiore al 100%, 71 azioni sono salite di almeno il 50%, e 132 azioni di almeno il 20%. Insomma le opportunità non sono mancate. Ciò non vuol dire, come suggeriscono in caratteri microscopici i volantini del risparmio gestito, che le performance passate hanno eguali possibilità di essere replicate nel futuro. Vuol dire però che il bull market c’è stato anche a piazza Affari; sebbene fatalmente nascosto dalle performance pesanti del settore bancario. Bastava cercare, e francamente non è stato nemmeno così difficile.