Europa
Europa, se ci sei batti un colpo

Gli investitori di tutto il mondo contano con soddisfazione le plusvalenze accumulate in questi oltre cinque anni di mercato Toro. Persino a Piazza Affari, rimasta attardata per la crisi delle finanze pubbliche, negli ultimi due anni ha spiccato il volo, correggendo gli eccessi ribassisti sperimentati fino a luglio 2012.

Indubbiamente il rialzo dei mercati azionari riflette un miglioramento dell’economia, dopo la Grande Recessione del 2008. La stessa performance tonica delle borse europee nel primo scorcio del 2014 è speculare rispetto alla laboriosa uscita dalla recessione delle economia dell’Eurozona.

Ma qui sorge un annoso dilemma: se l’economia gode di splendida forma, come suggerisce l’andamento dei mercati azionari, come mai i rendimenti dei titoli di Stato continuano a puntare verso il basso? Evidentemente il mercato obbligazionario denuncia persistenti pressioni deflazionistiche, mentre quello azionario al contrario conduce un messaggio di reflazione in corso. Uno dei due sta mentendo.

Una risposta la fornisce l’andamento del Citigroup Economic Surprise Index (CESI) dell’area Euro: in flessione dalla scorsa estate e, in particolar modo, dalla fine di gennaio. La pendenza negativa del CESI (rosso, scala di sinistra nel grafico qui in alto) suggerisce uno scollamento fra aspettative macroeconomiche e dati effettivamente conseguiti, con questi ultimi che si collocano sistematicamente al di sotto delle attese degli economisti.

Evidente appare la correlazione con il rendimento del Bund (nero, scala di destra): il che conferma come il mercato obbligazionario continuerà a salire fino a quando l’economia deluderà le attese degli osservatori; e bisogna dire che negli ultimi cinque mesi ci sta riuscendo spesso e volentieri.

Ma la delusione a un certo punto potrebbe lasciare spazio allo sconforto e a una palese negatività. A differenza delle principali aree mondiali, l’Eurozona denuncia un CESI in persistente calo e in ampio territorio negativo. Un conto è registrare dati inferiori alle aspettative, ma positivi; altra cosa sarebbe registrare dati del tutto negativi, per giunta peggiori delle attese. La ripresa stentata del Vecchio Continente si “accartoccerebbe”, ripristinando mai sopiti timori di double dip (o “triple”? abbiamo perso il conto…).

Tutto ciò deve essere ben chiaro a Draghi, che all’inizio del mese ha proposto quasi tutte le misure di allentamento monetario possibili tranne quella estrema, s’intende. Vedremo nelle prossime settimane se questo proclama sarà seguito dai fatti. Ne abbiamo bisogno, perché negli ultimi mesi la crescita dell’offerta di moneta ha assunto una pendenza angosciante.

La tavolozza di colori in alto raffigura il tasso di variazione di M1 a 1 mese (rosa), 3 mesi (arancio), 6 mesi (rosso) e 12 mesi (marrone). I dati convergono verso il basso, e con la rilevazione di aprile si sono collocati in tre casi su quattro sotto la soglia del 2%. È vero che stavolta bisognerebbe tenere conto della bassa inflazione vigente, ma ad evidenza in passato circostanze simili – 1994, 2000, 2008 e 2011 – sono sempre coincise con un ciclo recessivo, o altrimenti con un forte rallentamento dell’economia dell’area Euro.

Purtroppo conosceremo il dato di maggio soltanto alla fine del mese; dato che, oltretutto, non sarà ancora impattato dalle misure annunciate nell’ultima riunione della BCE. Ma anche se lo fossero, occorre capire se e in che misura la promessa espansione della base monetaria si tradurrà in aumento dell’offerta di moneta. Infatti, il moltiplicatore monetario non accenna a risalire, nel mondo occidentale. Se la liquidità prodotta da Francoforte giungerà finalmente all’economia, Draghi avrà vinto la sua scommessa. In caso contrario, nuove pressioni deflazionistiche saranno inevitabili.

Classe 1971, laurea cum laude in Economia e Commercio con una tesi di laurea sull'analisi tecnica dei titoli di borsa, si interessa da oltre venticinque anni di tecniche di analisi dei mercati finanziari. Continua...