Ne varrebbe proprio la pena?

- 07/05/2020
C'è un vivo dibattito circa l'opportunità di imporre alle banche centrali di tradire il loro mandato istituzionale, e di "annullare" il debito pubblico acquistato negli anni sul mercato secondario. Vige ovunque il divieto assoluto di sottoscrivere il debito dei governi; tranne in realtà idiosincratiche come l'Argentina, il Venezuela o in parte in Turchia (dove infatti la valuta si sta letteralmente sbriciolando davanti ai nostri occhi).
Gli acquisti di titoli pubblici sono effettuati dalle banche centrali avendo perlopiù le banche commerciali come controparti: esse cedono i bond alle banche centrali, ottenendo liquidità da impiegarsi verso il settore privato. In buona misura peraltro questa liquidità ritorna presso la stessa banca centrale sotto forma di eccesso di riserve. È dunque cosa ben diversa dal prestare denaro direttamente al governo: diventerebbe, come si dice in gergo, high powered money, e andrebbe ad alimentare immediatamente una spirale inflazionistica.
Ma, ammesso e concesso che, sorvolando sulle questioni di legittimità e di opportunità, le banche centrali con un colpo di penna tagliassero il debito pubblico acquistato negli anni; di quale beneficio staremmo parlando?
Lo scorgiamo nella figura qui in alto. Escludendo la quota custodita dalla banca centrale, il debito pubblico italiano scenderebbe al 120% del PIL circa. E questo, prima ancora dell'esplosione del deficit - e conseguentemente del debito - attesa quest'anno. Come dire che fra otto mesi il rapporto fra debito pubblico e PIL tornerebbe al 130%, ove si collocava poco tempo fa, nonostante una misura tanto eccezionale quanto gravida di rischi per la stabilità dell'economia e del sistema finanziario.
Ne varrebbe proprio la pena?