USA
Bernanke non riesce ad alleviare i timori di mercato

Una settimana fa abbiamo scritto che Bernanke non poteva salutare con favore il rialzo dei rendimenti a lunga scadenza, e che avrebbe tentato di correre ai ripari nella conferenza stampa tenutasi l’altro ieri. Ebbene, di sicuro ci ha provato; ma non ha fatto altro che peggiorare le cose, almeno nella percezione degli investitori. Il governatore della Federal Reserve ha tentato di smorzare i timori indicando date specifiche e parametri oggettivi in presenza dei quali sarà ridotto il programma di acquisti di titoli pubblici, fino ad ora dati per infiniti. Ha precisato che ridurre l’ammontare degli acquisti non vuol dire adottare una politica monetaria restrittiva, dal momento che il tasso sui Fed fund non sarà aumentato prima dell’inizio del 2015, male che vada. E ha ribadito che tutte le decisioni saranno precedute dalla verifica dei dati macro.
Gli investitori però hanno scambiato la trasparenza di Bernanke per maggiore aggressività, e di conseguenza i rendimenti sono schizzati, mentre le quotazioni azionarie sono precipitate. Il mercato ha dato ben più importanza alla potenziale riduzione dell’acquisto di titoli, mentre la Fed cercava di enfatizzare l’espansione netta del proprio bilancio.
Detto questo, ci sono aspetti degni di nota in merito alle ragioni per cui Bernanke agirebbe. Sebbene abbia fatto riferimento ad un’economia in miglioramento, la Fed ha lievemente ridotto la previsione di crescita del PIL nel 2013. Lo scenario ottimistico è spostato al 2014, che dista ancora più di sei mesi. Tuttavia in ognuno degli ultimi tre anni la Fed ha stimato un’economia in miglioramento a distanza di sei mesi, e ogni volta ha dovuto ricredersi.
A nostro avviso, la crescita economica non sta migliorando come la Fed vorrebbe far credere. La previsione per il 2014 appare oltremodo benigna e difficilmente sarà rispettata. In questo caso la riduzione degli acquisti partirebbe molto più tardi. La stessa riduzione delle previsioni sul tasso di inflazione porta a pensare che il QE possa durare più di quanto indicato dalla Fed. Quando si parla di ripresa, molti ottimisti indicano il settore immobiliare e l’auto. Se sul primo fronte possiamo concordare, la vendita d auto è piatta da novembre, e altri valori fondamentali dell’economia come la spesa per consumi, il reddito disponibile, l’occupazione e la spesa in conto capitale, restano attardati.
La convinzione che la ripresa economica stia guadagnando impeto non è supportata dai numeri. Negli ultimi quattro trimestri il PIL è cresciuto dell’1.8%; nell’ambito dei valori registrati dal 2010 in poi. Per il Q2 è atteso un dato lievemente inferiore al 2.0%. Da aprile 2010 in poi, le famiglie hanno tagliato il tasso di risparmio dal 5.3 al 2.5% soltanto per mantenere i consumi su livelli stazionari. Anche la crescita occupazionale è deludente. La media a tre mesi delle buste paga create si attesta a 155.000 unità: è il dato più fiacco da ottobre.
In definitiva, crediamo che la crescita economica sarà troppo lenta per permettere alla Fed di ridurre il QE nei tempi descritti ieri, e l’attuale inflazione supporta questa visione. Questo però non favorirà il mercato azionario: il deterioramento della crescita e le più basse aspettative di profitto, assieme alla minaccia di deflazione, fanno prevedere un mercato ribassista. Restiamo dell’idea che il massimo sia stato raggiunto e che sia imminente un bear market.

Un operatore professionale da molti anni attivo sui principali mercati finanziari mondiali. Continua...