USA
Il mito della recessione imminente

Gli investitori sono nervosi. Hanno goduto di una espansione economica dalla temperatura ideale: né troppo calda, né troppo fredda. Abbastanza robusta da favorire la crescita dei profitti aziendali, abbastanza moderata da indurre le banche centrali ad analoga moderazione nella normalizzazione della politica monetaria.
A 101 mesi, la corrente ripresa risulta la terza più prolungata dal Dopoguerra. Poiché non esiste bear market che non coincida con una recessione, i timori degli investitori sono legittimi e comprensibili. Ma sono anche fondati?
L’attenzione è stata posta sulla curva dei rendimenti, la cui pendenza è dibattuta a frequenza ormai quotidiana. Ma dovrebbe essere chiaro, a questo punto, che il differenziale fra scadenze lunghe e scadenze brevi, una volta conseguito valori nulli se non negativi, anticipa l’inizio delle recessioni di diversi mesi: addirittura 16, 12 e 19, risalendo nel tempo, con riferimento agli ultimi tre cicli negativi della congiuntura economica USA.
Discorso finito? Sembra di no: gli ipocondriaci del mercato sono sempre all’opera: questa volta potrebbe essere differente. E allora cerchiamo di fornire loro conforto, proponendo il modello che AGE Italia usa da tempo per monitorare l’imminenza di una nuova recessione.

Il Recession Predictor è calcolato impiegando due dozzine di indicatori macro economici che tendono ad anticipare il ciclo economico, o al peggio, a coincidere con esso. Il vantaggio è quello di ottenere una misura che esprime una probabilità di svolta immediata della ripresa economica USA. Vediamo come funziona.

Tipicamente, il Recession Predictor (RP) segnala inizio di recessione quando sale al 50%. La circostanza fu registrata a dicembre 1979: con la recessione che fu formalizzata il mese successivo. Tipicamente, una volta giunta la recessione, il RP sale ulteriormente, segnalando l’esaurimento della contrazione del ciclo economico quando scende sotto il 66.6%. La prima delle due recessioni di inizio anni Ottanta fu intercettata con precisione. Il secondo dip fu segnalato con due mesi di ritardo, mentre la fine della recessione fu prontamente segnalata dal RP.

Nel 1990-91 il RP segnalò con un mese di ritardo l’avvio della recessione, toccando il 50% ad agosto di quell’anno; mentre fu tempestivo nel segnalarne l’esaurimento, a marzo 1991. Chi temeva un double dip, come ad inizio anni Ottanta, rimase deluso.
Anche con la recessione del 2000-2001 si registrò un “fastidioso” sfasamento temporale; con il RP che questa volta segnalò con anticipo – a gennaio 2001 – l’avvio di una contrazione economica che il NBER certificò per marzo di quell’anno.

In questo caso la fine della recessione coincise con la certificazione dell’ufficio centrale di Statistica USA. È interessante notare come il RP rimase ancorato al 50% per buona parte del 2002, anche a recessione ufficialmente terminata, a conferma di un clima comunque difficile che finì per penalizzare il mercato azionario.
E veniamo all’ultima recessione: quella del 2007-2009.

In questo caso il RP segnalò una recessione a partire da novembre 2007. Disdetta, anche questa volta mancando l’appuntamento di un mese: il NBER dichiarerà la recessione iniziata a dicembre di quell’anno. Peccato che per farlo avrebbe atteso dicembre… dell’anno successivo.
Già, perché l’inizio e la fine delle recessioni è ufficializzato con un lasso di tempo insopportabilmente lungo: diversi mesi, talvolta addirittura un anno (non è facile mettere d’accordo diverse teste pensanti).
L’ultima recessione, terminata a giugno 2009, secondo il nostro RP sarebbe terminata in effetti a settembre di quell’anno, più o meno un mese. Questioni di lana caprina, come si suole dire: a noi interessa soprattutto capire quando le recessioni incominciano; non quando finiscono. Per quello abbiamo a disposizione il mercato azionario.

Veniamo ai giorni nostri. Quali sono le probabilità che l’economia americana stia entrando in recessione? Zero, o poco più: l’8%, in questo momento.
Capite? La turbolenza di inizio 2016 spinse il RP a stimare una probabilità del 25% di recessione, ma ora il dato è schiacciato su valori pressoché nulli. Niente recessione, niente bear market.
Potremmo azzardare, sulla base di una regressione fra questo modello e il ciclo economico USA, che una recessione intervenga non prima di un anno da oggi: fine 2018, inizio 2019. Ma allora, se è vero che il mercato anticipa l’economia di una manciata di mesi; ciò vuol dire che Wall Street può salire tranquillamente fino alla prossima primavera, ad essere cauti.
Scossoni non se ne possono escludere: dopotutto, non è richiesta a gran voce un po’ più di volatilità? Ma da qui a parlare di un ribasso di mercato – addirittura un crash! – sulla base di una imminente recessione USA, ce ne corre davvero tanto.

Classe 1971, laurea cum laude in Economia e Commercio con una tesi di laurea sull'analisi tecnica dei titoli di borsa, si interessa da oltre venticinque anni di tecniche di analisi dei mercati finanziari. Continua...