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La Cina può affossare l’economia globale (II Parte)

In occasione della recente riunione annuale sulla politica economica, i dirigenti cinesi hanno fissato un obiettivo di crescita annuale al 7.5%; in calo rispetto al 7.7% conseguito lo scorso anno. Tuttavia, nell’ambito del successivo dibattito con domande e risposte, il premier Li ha ammesso che «le sfide che ci attendono quest’anno saranno impegnative». Ha riconosciuto che dopo anni di salvataggi i fallimenti saranno all’ordine del giorno, e ha ammesso implicitamente di non essere preoccupato del mancato raggiungimento eventuale dell’obiettivo di crescita.
Il problema è che la Cina affronta un dilemma del tutto nuovo. C’è un gigantesco problema di eccesso di indebitamento nel settore privato, che sta cagionando squilibri nell’economia, che non mancheranno di far sentire i loro effetti sulla crescita economica. Le autorità cinesi riconoscono da tempo che l’economia era troppo dipendente dalle esportazioni e dall’industria pesante, e che i consumi interni sono relativamente fiacchi. Adesso stanno cercando di spostare proprio sui consumi il volano della crescita, al contempo contenendo l’indebitamento, specie con riferimento al cosiddetto “shadow banking system”. È ampiamente riconosciuto che la strategia apporterà benefici nel lungo periodo, ma sarà doloroso nel breve periodo. Per cui questa volta sarà difficile rispettare gli obiettivi prefissati.
I leader sono ben consapevoli del bisogno di creare elevati volumi di occupazione, ad un ritmo sufficiente ad evitare il malcontento della popolazione. Pertanto, non si possono permettere il lusso di vedere l’economia rallentare troppo, e presto potrebbero essere costretti a stimolare nuovamente il credito. Il problema è che ciò provocherebbe ulteriore instabilità e rimanderebbe l’implementazione delle agognate riforme. Il punto è che il governo di Pechino non controlla più i tassi di interesse e il mercato del credito, e un atterraggio brusco sarà difficile da evitare.
Un altro aspetto rilevante è il marcato rallentamento delle esportazioni che riduce la necessità da parte della Cina di acquistare massicce quantità di materie prime dall’estero: soprattutto, da paesi le cui economie dipendono fortemente dalla vendita di queste commodity. Lo si desume in particolare dal consistente calo dei prezzi di materie prime come il rame e il ferro. Il primo è sceso sotto ai 3 dollari per la prima volta da luglio 2010. Questo suggerisce che il rallentamento cinese con ogni probabilità risulterà in analogo rallentamento per tutto il mondo; Stati Uniti inclusi.
In definitiva la situazione economia e finanziaria in Cina è negativa non solo per Pechino, ma anche per il resto del mondo. Sebbene il consenso ritenga che gli Stati Uniti siano immuni da queste conseguenze, si tratta di un argomento già sentito altre volte, e di scarsa efficacia. Agli attuali livelli, la borsa americana sta prezzando la perfezione, e ignora i problemi che si ergono davanti a noi.

Un operatore professionale da molti anni attivo sui principali mercati finanziari mondiali. Continua...