Una crescita stagnante dei redditi trattiene la crescita

- 07/03/2014
L’elemento decisivo che tiene in ostaggio la ripresa è spiegabile in poche parole. I consumatori stanno ancora smantellando l’enorme debito accumulato negli anni del boom, e il reddito totale è troppo debole per consentire una robusta crescita dei consumi. Senza dubbio il fattore climatico ha inciso di recente, ma si tratta di un fattore temporaneo: quando la situazione meteorologica si stabilizzerà, il tasso di crescita dell’economia tornerà mediocre, ben che vada.
La famiglie vorrebbero pure spendere di più, ma sono trattenute dalla crescita debole dei redditi. L’unico modo per aumentare la spesa è di ridurre il tasso di risparmio, peraltro non distante dai minimi raggiunti durante gli anni di espansione. Certo, dopo anni di domanda trattenuta, esiste un potenziale inespresso: prima o poi i beni durevoli vanno rimpiazzati. Ma il mercato del lavoro rimane fiacco e la crescita delle retribuzioni è stata limitata.
Negli ultimi tre anni oltretutto i consumi sono cresciuti più del reddito: in termini reali la spesa è salita del 5.4%, a fronte di una crescita del 2.9% del reddito disponibile, sempre in termini reali. Ciò è stato consentito da una riduzione del tasso di risparmio, dal 6.3 al 4.3%. La spesa per consumi si attesta al 70% del PIL, ed è alimentata principalmente dal reddito disponibile. Il quale rimarrà ancora sotto pressione, contenendo i consumi per tempo indefinibile. Sebbene l’occupazione stia crescendo, negli ultimi due anni il tasso di crescita si è attestato al +1.7%: ben sotto la media storica. Il tasso di disoccupazione è ancora elevato, e molta gente ha smesso di cercare un lavoro: ciò comporta che il potere negoziale sia molto basso, per cui la crescita delle retribuzioni sarà contenuta. Il costo del lavoro cresce a meno del 2% all’anno.
Altre fonti di finanziamento della spesa restano al palo. I finanziamenti non sono concessi con la generosità vista prima della crisi, e la maggior parte dei prestiti sono formalmente agli studenti, il che peraltro ne riduce la capacità di spesa. I dipendenti preoccupati del loro salario e della sicurezza del posto di lavoro sono comprensibilmente riluttanti ad indebitarsi, e oltretutto ora non beneficiano più della crescita delle quotazioni immobiliari, come facevano prima della recessione.
Ciò porta a concludere che le speranze di una crescita economica ben superiore al 2% sono troppo ottimistiche. Con la Fed che sta gradualmente rimuovendo lo stimolo monetario, e con la crescita economica globale sotto pressione, il PIL è destinato ad infiacchirsi. Peraltro, i profitti aziendali sono decollati dal 5% del PIL del 1990 all’attuale 10%, il che ne limita l’espansione futura in termini relativi. L’attuale bull market può finire, così come è successo nel 2000 e nel 2007.