Euro/Dollaro: eppur dovrebbe salire…

- 08/06/2018
I mercati finanziari sono governati da meccanismi raramente visibili ad occhio nudo, e talvolta difficile da scovare anche all’occhio esperto. Prendiamo l’euro: cresciuto per tutto lo scorso anno e sceso soltanto nell’ultimo mese e mezzo. E sì che di motivi per salire ne aveva ben pochi: Trump promette(va) un dollaro forte, la Fed sta aumentando in continuazione i tassi di interesse ufficiali, e d’altro canto fra rendimenti americani e rendimenti europei non c’è storia; specie sulla scadenze lunghe.
Ma c’è qualcosa che sfugge. Fosse così semplice, saremmo tutti ricchi…
Succede che i fondi speculativi, nonostante le turbolenze politiche in Italia, non hanno ancora gettato la spugna, e in prevalenza si mantengono bullish sulla divisa comune europea. Succede che ormai una delle scommesse più “sicure” risulti proprio l’andare lunghi di dollari. E poi succede che talvolta ci si dimentica che le variabili macro agiscano in termini relativi, non assoluti.
Intuitivamente, il rapporto fra euro e dollaro dovrebbe essere sensibile alla minore o maggiore determinazione dei banchieri centrali delle due sponde dell’Atlantico: se la BCE “stampa moneta” per comprare e ritirare temporaneamente titoli dal mercato; mentre la Fed fa il contrario – riduce i dollari in circolazione contraendo il proprio bilancio – la maggiore disponibilità di euro e minore disponibilità di biglietto verde, dovrebbero affossare l’Eur/Usd. Così non è stato negli ultimi diciotto mesi; eccezion fatta appunto per il periodo più recente.
Questo perché, come si diceva, le variabili in questo caso monetario agiscono in termini differenziali, non assoluti. La figura mostra l’euro/dollaro e, in blue, la variazione annuale del rapporto fra il bilancio Fed e quello di Eurotower.
Se il dato assoluto dovrebbe piegare il rapporto di cambio visualizzato – scende il numeratore, sale tuttora il denominatore; la variazione annuale viceversa punta tuttora verso l’alto. Questo perché il timido benché progressivo disimpegno da parte della Fed, incide molto meno rispetto all’aggressività con cui Draghi sta nei mesi riducendo l’offerta di liquidità al sistema.
Non è un caso che l’Eur/Usd è risultato molto sensibile a questo dato; tranne in un paio di occasioni: sul finire del 2016, quando l’elezione di Trump ha rimescolato un po’ le carte, e di recente, quando le elezioni in Italia hanno fatto altrettanto.
In ambo le occasioni, si è trattato di una reazione tanto comprensibile quanto presumibilmente emotiva degli operatori.
Non stiamo dicendo che l’euro sia destinato a tornare a 1.25 dollari; ma, nelle circostanze attuali, crediamo che ad essere colti di sorpresa possa essere chi è lungo di dollari. Fino a quando i rapporti di forza relativi fra Fed e BCE produrranno questa inclinazione.