Ampiezza e volume
Che succede a Wall Street

Gli ultimi giorni hanno stravolto le previsioni di parecchi analisti, incluso il sottoscritto, che confidava nel mantenimento dello status quo, per quanto concerne la volatilità, e in prospettiva in uno sblocco verso l’alto della stagnazione che caratterizza mediamente Wall Street sin dallo scorso mese di dicembre. È andata in maniera radicalmente opposta, con il rovescio delle ultime sedute che risulta tanto eccezionale per profondità, quanto in grado di incidere pesantemente sul quadro strutturale di mercato.
Vediamo anzitutto la parte “mezza piena” del nostro bicchiere. In cinque sedute, da chiusura a chiusura, omettendo gli estremi, il Dow Jones ha ceduto più del 10%, prima di rimbalzare. Si è trattato in una certa misura di uno shock, che ha colpito gli investitori assuefatti a mesi di movimenti di piccolo cabotaggio. Sotto un certo profilo, questo affondo, che finalmente formalizza a Wall Street una correzione che mancava da 3 anni, 10 mesi e 22 giorni (terza esperienza più longeva dal 1950) può essere salutato come benvenuto.

Sì, perché una flessione a doppia cifra percentuale, nell’arco di cinque sedute, quasi sempre ha prodotto ad un certo punto un’inversione di tendenza: talvolta in tempi brevi, dopo eventuale consolidamento atto ad assorbire l’eccesso di volatilità (1987, 1998, 2011); talaltra dopo un’ulteriore flessione dei corsi, compresa storicamente (1962, 2001, 2002, 2008) fra il 7 e il 30%. In tutti i casi, movimenti di ripartenza definitivi (“a V”) si sono manifestati soltanto nei sogni dei bottom picker.

Ci sarebbe dunque da pazientare: al di là di rimbalzi potenzialmente anche rabbiosi, d’interesse per i trader, gli investitori devono mettere in conto la possibilità che nei prossimi due mesi la borsa americana sperimenti una ulteriore decurtazione. Poco male, si direbbe: tutto sommato ciò non farebbe eclissare la straordinaria performance messa a segno in quasi sei anni e mezzo, e chi ha comprato tempestivamente nel 2009, risulterebbe poco intaccato da questa poco lusinghiera prospettiva.
Ma c’è un “però”. Questo bull market è stato puntuale nel segnalare la sua comparsa, nel 2009, ed è stato ancor più generoso nel fornire ai ritardatari nitide opportunità secondarie d’ingresso, di cui l’ultima alla fine del 2012.

Il problema è che la A-D Line, costruita con i dieci settori dello S&P, minaccia ora la fascia di supporto che ne ha accompagnato mirabilmente la salita, dopo il segnale bullish di lungo periodo scattato ad aprile 2009. Che si possa trattare di una falsa rottura rientra nel novero delle possibilità, a condizione però che la penetrazione sia davvero marginale.
Ora la prospettiva di ulteriore debolezza nei prossimi due mesi, o anche di semplice stagnazione, deporrebbe a favore della tenuta del supporto su questo fondamentale misuratore di salute del mercato azionario americano. Al quale siamo grati per la sua capacità di averci fatto entrare in tempi non sospetti. Perché dunque dovremmo mancargli di rispetto, ignorando un definitivo e speculare segnale di uscita?

Classe 1971, laurea cum laude in Economia e Commercio con una tesi di laurea sull'analisi tecnica dei titoli di borsa, si interessa da oltre venticinque anni di tecniche di analisi dei mercati finanziari. Continua...