I volumi hanno suggerito la fragilità del mercato

- 12/01/2016
Non abbiamo mai nutrito molta fiducia nel rally scaturito dal "doppio minimo" di agosto-settembre. Ad ottobre, certo, i mercati azionari sono decollati; ma difettavano di volumi e ampiezza. In merito a quest'ultimo, cruciale aspetto, è apparso subito evidente come lo sforzo rialzista poggiasse su poche società ad elevata capitalizzazione, e come mancasse una spinta propulsiva sufficiente a consentire al mercato di aggredire e migliorare i massimi assoluti.
Risultato: quasi tutti gli investitori confidavano nel canonico "buy on dip", dopo aver snobbato questa pratica per sei anni; mentre Wall Street, dopo una effimera fiammata, si è accartocciata su se' stessa e adesso flirta con i minimi di fine estate.
Anche i volumi invitavano ad una sana diffidenza. Si noti la differenza netta fra Up Volume e Down Volume sul NYSE: qui in alto espressa come media a 200 giorni. Dopo il minimo di ottobre 2014, l'Up-Down Volume risalì rapidamente e si portò in territorio positivo, ove vi restò per svariati mesi: in concomitanza con un bull market magari fiacco, ma formalmente ineccepibile.
Le cose sono cambiate da giugno dello scorso anno, quando l'Up Volume netto tagliò verso il basso; in ciò imitando un segnale di inversione strutturale già sperimentato in occasione del massimo del 2007. Da quel momento in poi la prevalenza del Down Volume è diventata massiccia. Al punto da segnare addirittura un lower low, a fine settembre, rispetto al dato di agosto. Una divergenza invertita che confermava la fragilità strutturale del mercato.
Difatti l'Up-Down Volume non è mai più risalito in territorio positivo, se si eccettua qualche lettura marginalmente positiva a dicembre: nulla di confrontabile con lo spessore degli anni passati. Di lì a nuova negatività il passo è stato breve.