Tutti pazzi per l'Hindenburg Omen

- 10/06/2013
In questi giorni non si parla d’altro. Sul finire del mese di maggio, giusto in tempo per accontentare i fan del “Sell in May and go away” (peraltro da almeno trent’anni assente a Wall Street nell’anno post-elettorale), l’analisi tecnica ha regalato una perla dal nome tristemente lugubre ed evocativo: un “Hindenburg Omen”. A quest’ora chi è sensibile a queste tematiche si sarà già documentato; in caso opposto, una rapida ricerca su Google chiarirà il complesso meccanismo di formazione di questo setup, basato sull’ampiezza di mercato, e che ambisce ad anticipare i crash di borsa.
Ma è proprio così?
Il setup si è concretizzato mercoledì 29 e venerdì 31; a differenza dell’episodio di metà aprile, dunque, il segnale negativo risulta confermato. Come se non bastasse, ulteriori “omen” sono stati registrati all’inizio di questa settimana. Insomma, una minaccia in grande stile.
Prima del 2013, il precedente più immediato risale al 23-24 luglio 2012: un Hindenburg Omen (HO), confermato, che però coincise con il minimo su diversi mercati azionari; e che anticipò diversi mesi di sfrenato rialzo. Prima d’allora, dobbiamo risalire al 14 dicembre 2010 (HO non confermato), al 12 agosto 2010 (idem), al 21 maggio 2008 (ibidem; ma in quel caso il ribasso si concretizzò, eccome), e in ripetute occasioni fra il 15 ottobre e il 7 novembre 2007. Quest’ultima casistica è alla base della riscoperta di questo setup; accreditato della capacità di prevedere i crolli di borsa.
Ci sono da fare però due precisazioni.
Innanzitutto, dal 1986 al 2006 l’HO ha mostrato una capacità previsionale del 25%: ha anticipato ribassi consistenti, ma nella maggior parte dei casi è risultato un falso segnale. Un HO è stato segnalato a settembre 1987, a gennaio 2000, ma in diversi altri casi in cui il mercato noncurante ha continuato a salire. Come i giocatori incalliti, si perpetra la sua popolarità avendo a mente le rare volte in cui ha funzionato, trascurando quelle ben più numerose in cui è risultato un “non evento”. Stupisce che di analoga fama non goda un banalissimo indicatore tecnico come il famoso RSI, che sicuramente in occasione dei citati massimi di mercato denunciava un vistoso ipercomprato. Ma, appunto: se i massimi del 1987, del 2000 e del 2007 sono stati preceduti da un HO; ben pochi, degli HO confermati, hanno preceduto un bear market.
C’è da fare poi un’altra importante considerazione.
Uno degli aspetti alla base dell’HO, è la “confusione” che serpeggia fra gli investitori; al punto che sia le azioni sui minimi, sia quelle sui massimi, abbondando. Una schizofrenia apparente che si risolve nel ribasso di mercato, come detto. In effetti sul NYSE sono stati registrati 131 nuovi minimi annuali il 29 maggio, 162 il 31 maggio, ben 244 il 3 giugno e 134 il giorno successivo.
Sfortunatamente, però, sul tabellone principale di Wall Street sono quotate azioni privilegiate, diritti, ADR, fondi obbligazionari, ETF e strumenti di investimento che con le azioni in senso stretto hanno ben poco a che fare. La maggior parte dei circa 3200 titoli sono strumenti diversi da azione di società operative; e spesso, risultano sensibili in diverso modo all’andamento dei tassi di interesse. Sorge il sospetto che questa impennata dei nuovi minimi annuali dipenda dall’impennata dei tassi di interesse fatta registrare di recente.
In effetti se ci soffermiamo sulla analoga statistica, relativa però alle 500 società dell’indice S&P, notiamo come in occasione dell’ultimo HO confermato di luglio 2012, i nuovi minimi in effetti si ispessirono, salendo al 4.6% del totale (la soglia minima prescritta è del 2.2%). Anche in occasione dell’HO non confermato di aprile la statistica relativa ai nuovi minimi annuali è cresciuta, sebbene di misura.
In occasione del grappolo dei recenti quattro segnali, le azioni dello S&P sui minimi annuali risultano: zero. Se tenessimo conto di questa palese distorsione sul NYSE, non vi sarebbe alcun HO.
E allora? Probabilmente il mercato era comunque destinato a scendere, prima e dopo questa finestra tecnica. Se n’è parlato allo stesso recente IT Forum, suggerendo la prospettiva di una correzione almeno fino ad oggi (in alto il grafico proposto, con l’indice S&P in blue, e in nero la proiezione formulata all’inizio dell’anno); e l’andamento recente sta andando nella direzione prospettata. Non è il caso di assumere atteggiamenti di superficialità: il mercato azionario americano viene da più di quattro anni di rialzi, durante i quali è salito di uno splendido 150%. Prima o poi smetterà di crescere, ne possiamo stare certi.
Ma non ci sembra il caso di poggiare tutta la strategia su un approccio che a ben vedere ha una percentuale di successi inferiore a quella del semplice lancio della monetina; e che perdipiù negli ultimi anni inizia a scricchiolare, a causa dell’”inquinamento” dei titoli rappresentati sul NYSE.