Sentiment
La bolla e le balle

«Un crollo di mercato? Ci puoi contare!», titolava spavaldo il popolare sito money.msn.com nel marzo 2011: «Gli analisti rialzisti sono pericolosamente in errore. È difficile per gli investitori ignorare il richiamo del mercato; ma lo dovrebbero fare quanto prima» (http://urlin.it/5406a). Pochi giorni prima, su MarketWatch, anche Paul Farrell forniva un generoso contributo alla causa ribassista indicando la tempistica del crollo di borsa: «avverrà entro Natale» (http://urlin.it/5406b), con lo S&P 500 che sarebbe dovuto precipitare dai 1300 punti di allora addirittura alla tripla cifra, cioè sotto i 1000 punti.

L’ipertrofia ribassista tuttavia non è stata prerogativa soltanto dei siti a larga diffusione. TheStreet.com, scritto da gestori di hedge fund e operatori professionali, sentenziava all’inizio dello stesso anno cosa avrebbe fatto deragliare un rialzo che procedeva da ben 21 mesi (http://urlin.it/5406c). E la chiamata infausta non si è  esaurita nemmeno una volta avuta la più ampia e definitiva evidenza di trovarsi di fronte a un poderoso bull market.

Sei mesi fa il famigerato Zerohedge, croce e delizia dei ribassisti di tutto il mondo, ha tentato di argomentare in modo più convincente la propria tesi, offrendo le visioni di Orsi particolarmente aggressivi (quanto frustrati), in un articolo che non lasciava spazio a dubbi e interpretazioni: “2013: Stock Market Crash” (http://urlin.it/5406e).

È il famoso muro di paura che ha accompagnato questo bull market, del quale ci siamo deliziati. Non che le argomentazioni proposte dagli scettici siano risultate prive di logica. Ma spesso e volentieri hanno rappresentato soltanto un lato di una medaglia drammaticamente bifacciale. Così, se è vero che dai minimi di marzo 2009 lo S&P 500 è salito del 170%, è altrettanto vero che in 13 anni e mezzo la borsa americana è cresciuta di appena l’1,1%, in termini di rendimento medio composto annuo: non certo una performance spropositata.

Analisti in cerca di fama e fortuna si alternano oggi nel cercare di chiamare “il massimo”: «la borsa è a rischio di crollo perché è salita troppo». Per la legge dei grandi numeri presto disporremo di almeno un guru risultato capace di prevedere il prossimo bear market: la stampa finanziaria ha drammaticamente bisogno di queste figure sinistre, ora che i vari Roubini, Rogoff, Rosenberg, Roach sono passati dall’altro lato. Ma perché mai nessuno o quasi a marzo 2009 si è cimentato in una previsione simmetricamente agevole del tipo «la borsa sta per conoscere un boom, perché è scesa troppo». È proprio questa asimmetria analitica e valutativa che incuriosisce ed esalta.

A proposito di valutazioni

L’agenzia Standard&Poor’s stima per le compagnie dell’indice S&P500 un monte utile per il 2013 di quasi 98 dollari per azione. Il dato risulta dell’82% superiore al livello raggiunto a settembre 2000, pochi mesi prima dell’avvio del primo bear market dello scorso decennio. All’epoca lo S&P 500 quotava 1435 punti: come mai non quota oggi 2600 punti? Non bisognerà mica formulare una class action? Gli investitori risultano cioè turlupinati poiché il mercato quota molto meno di quanto “dovrebbe”, sulla base dai fondamentali micro.

Forse non è soltanto una questione di EPS. Bisogna anche considerare i fondamentali “macro”: il prodotto interno lordo (PIL), segnatamente.

Ma anche in questo caso non si riesce a trovare riscontro alla tesi di partenza («siamo in una bolla finanziaria, che presto deflagrerà»). La figura in alto confronta la capitalizzazione del NYSE con il livello del PIL americano. Al 30 settembre il rapporto era di 1,08 (108% del PIL). Ma nel 2007, tanto per citare il dato rilevante a noi più vicino, il rapporto fra valore del NYSE e PIL salì al 128%. Da questi livelli la borsa dovrebbe crescere di un ulteriore 15-20%, per raggiungere i livelli di valutazione che anticiparono il bear market del 2007-2009, ammesso e concesso che il secondo bear market dello scorso decennio sia stato dovuto a sopravvalutazione fondamentale e non ad altri fattori esogeni.

Certo, magari prevedere le bolle fosse così semplice. Lo stesso Greenspan, in uno slancio di sincerità, rilevò che per una banca centrale – figurarsi per noialtri – è molto più semplice trattare gli effetti collaterali della deflagrazione di una bolla, che non prevederne lo sviluppo.

Ma quantomeno possiamo cercare di individuare i tratti distintivi dei famigerati massimi del 2007, del 2000 e – perché no? – del 1987, per verificare se quelle condizioni sussistano oggi.

Un operatore professionale da molti anni attivo sui principali mercati finanziari mondiali. Continua...