Più che un toro, un bufalo

- 02/03/2015
Un investitore può forse tollerare di aver ignorato un rialzo del mercato azionario che sta per spegnere la sesta candelina di anzianità (un’esperienza da raccontare ai nipotini, con vivo compiacimento o con malcelato imbarazzo, a seconda del grado di partecipazione), ma di sicuro non riuscirebbe a tollerare l’idea di essere l’ultimo ad aver comprato. Due bear market devastanti nell’arco di dieci anni hanno condizionato irrimediabilmente l’atteggiamento degli investitori: roba da psichiatri, non da analisti di borsa…
D’altro canto, basti osservare l’andamento delle opzioni sul QQQ: il popolare (una volta, tempo fa) ETF sul Nasdaq100. Le quotazioni del sottostante sono in procinto di toccare i mitici massimi del Duemila, dopo una performance spettacolare (+336% dal minimo di fine 2008) e dunque ci si aspetterebbe un attivismo senza precedenti. E invece le posizioni languono sui tre milioni di contratti: un quarto cioè, rispetto all’Open Interest di 13 milioni di pezzi registrato in occasione del massimo del 2007.
Cosa può significare? Come mai nessuno ama il mercato protagonista indiscusso di questi ultimi anni?
La stessa cautela è percepibile ponderando le statistiche sulle azioni correntemente vendute alle scoperto: sul NYSE sono superiori alle 15 milioni di unità (sorvoliamo per amor di patria sulle azioni del Nasdaq vendute short). Ci si aspetterebbe che il quadruplicarsi delle quotazioni nel giro di sei anni abbia indotto gli investitori a spostarsi con entusiasmo sul remunerativo lato long del mercato, ma invece ci si accorge che i ribassisti sono ancora ostinati nel cercare il massimo, avendo mancato il minimo. Va bene così: in ottica contrarian il mercato salirà fino a quando non si registrerà la capitolazione su questo fronte.
Ma, per l’appunto, quando sarà tempo di tirare definitivamente i remi in barca? Le statistiche sullo scoperto possono darci una mano, non quelle grezze: occorre tener presente che gli scambi negli anni più recenti si sono diradati, sicché il dato appena mostrato andrebbe più attentamente ponderato.
Un valido espediente consiste nel rapportare le azioni vendute allo scoperto (Short Interest) ai volumi medi giornalieri. Si ottiene così lo Short Interest ratio (SIR); in parole povere, quanti giorni di contrattazioni occorrerebbero per riassorbire interamente le posizioni corte, nell’ipotesi teorica che il mercato sia utilizzato a quest’unico scopo.
Come si può notare qui in alto, lo SIR oscilla fra valori elevati e bassi; i quali identificano rispettivamente l’abbondanza e la penuria di posizioni corte. Nel 2007, ad esempio, lo SIR risultò particolarmente infimo. L’attuale livello, pur essendo relativamente elevato, con riferimento allo SIR di sei anni fa, si attesta sui medesimi livelli del 2000, quando pure partì lo sboom della tecnologia. E allora?
Per i nostri fini, potrebbe risultare opportuno considerare non tanto il livello assoluto dello SIR, quanto il suo posizionamento relativo, cioè relativamente a una media mobile di riferimento, come quella tracciata in alto. Lo scostamento in un senso o nell’altro, in termini percentuali, determinerà una condizione di eccesso che teoricamente dovrebbe avere ripercussioni per la tendenza in essere.
La verifica empirica in effetti risulta non poco incoraggiante.
Nella figura in alto è riportato lo SIR, l’oscillatore che misura lo scostamento dello SIR rispetto alla sua media mobile di lungo periodo, e naturalmente lo S&P500. Il tutto, su base mensile.
L’indicatore calcolato in effetti risulta molto più normalizzato, e consente di stimare gli eccessi con maggiore facilità, grazie a una banda di oscillazione collegata alla volatilità (in gergo da analista tecnico: una banda di Bollinger…). Per definizione le posizioni corte saranno eccessive quando l’indicatore, basato sullo SIR, si spingerà oltre la parete statistica superiore, mentre saranno basse, quando si attesterà al di sotto dell’estremo statistico inferiore.
Il mercato è stato generoso nel suggerire le proprie intenzioni: a metà anni Novanta, a fine 2002, nell’estate del 2004 del 2010 e del 2011, e infine a fine 2012, l’indicatore ha sperimentato un’escursione verso l’alto: le posizioni short, relativamente eccessive, denunciavano un pessimismo che in effetti è coinciso fatalmente con i minimi di mercato, o comunque con imperdibili opportunità di ingresso.
Viceversa nel 2000 e poi nel 2007, lo SIR risultava eccessivamente basso, sotto la prospettiva descritta. Una carenza di ribassisti che fu pagata a caro prezzo. Ecco perché ne auspichiamo la lunga vita…
Rispetto a questa “pista ciclica”, l’attuale rilevazione esce ridimensionata nella minaccia ventilata: l’indicatore è praticamente allineato alla sua media mobile di lungo periodo. Non si scorgono eccessi che denotino un ottimismo patologico. Il dato dovrebbe risultare di almeno il 30% inferiore, per far scattare un campanello d’allarme. Il che richiederebbe o una drastica ricopertura, o una comparabile crescita degli scambi. Allo stato attuale, una ipotesi più improbabile dell’altra.