Sentiment
Un put/call ratio contenuto è una minaccia per il mercato?

Negli ultimi mesi hanno tenuto banco i piccoli investitori, con i loro acquisti - spesso a leva - che hanno tenuto in scacco la speculazione professionale. Massiccio il ricorso alle opzioni call, preferite sulle azioni di gran lunga alle put: tant'é vero che nelle ultime due settimane il rapporto fra put e call, in termini di contratti scambiati, è sceso mediamente sotto al 40%: trattasi di una lettura estrema, che mancava da anni.
Il ragionamento è: se un put/call ratio azionario medio, a marzo 2020, prossimo ad unità, contrassegnò un fondamentale minimo di mercato; non sarà forse che un put/call ratio specularmente opposto possa coincidere con un primario massimo di mercato?

Come sempre un esame storico oggettivo sgombera il campo da equivoci e giudizi affrettati.
Per ritrovare un put/call ratio precipitato per la prima volta a livelli così infimi, dobbiamo risalire nel tempo di 24 anni: al 1997. A maggio di quell'anno il put/call ratio azionario medio scese sotto quota 0.40: ma questo, evidentemente, non coinciso con un massimo di mercato; con lo S&P500 che anzi sarebbe salito ulteriormente - e vertiginosamente - per ulteriori tre anni. Nel frattempo, il put/call ratio sarebbe scivolato diverse volte sotto quota 0.40, senza che ciò avesse comportato seri contraccolpi per il listino.

Questo, non certo per profetizzare il raddoppio delle quotazioni di Wall Street nei prossimi tre anni. Quanto per segnalare come questo indicatore di sentiment, al pari di tanti altri, non va interpretato con logica simmetrica: se letture estremamente elevate coincidono, spesso in modo spettacolare, con i minimi di mercato; letture specularmente opposte non rappresentano necessariamente una minaccia per il Toro.

Classe 1971, laurea cum laude in Economia e Commercio con una tesi di laurea sull'analisi tecnica dei titoli di borsa, si interessa da oltre venticinque anni di tecniche di analisi dei mercati finanziari. Continua...