La volatilità si sta contraendo (troppo)

- 26/05/2015
La volatilità si presta a svariati impieghi operativi; ma prima di tutto, occorre fornirne una definizione. Uno strumento che AGE Italia propone quotidianamente sul suo Rapporto Giornaliero è la volatilità storica (HV); meglio, il rapporto fra due diverse misure della HV: quella a 10 e quella a 100 giorni. In linea di principio la prima è logicamente molto più reattiva della seconda, che agisce da ancoraggio, da punto di riferimento nel lungo periodo. Sicché una HV10 troppo alta o troppo bassa rispetto alla HV100 tende presto a ritornare sui propri passi, di solito spingendosi nella direzione opposta.
Traduciamo questo comportamento con un rapporto avente al numeratore la HV100 e al denominatore la HV100: si parla in questo caso di Historical Volatility Indicator (HVI):
Questo indicatore può essere applicato a qualunque mercato finanziario, e a qualunque time frame. Qui in alto vediamo l'HVI applicato allo S&P500. Evidentemente un valore pari a 100 identifica una equivalenza fra le due misure della volatilità; una lettura invece pari o superiore al 150% indica quei casi in cui la HV10 è salita troppo, spingendosi del 50% oltre la HV100, e tende a coincidere con i minimi di mercato. Di converso, un HVI a 50 indica quei casi in cui la volatilità di breve periodo risulta pari alla metà rispetto alla HV100.
Emerge in questo caso uno schema ricorrente: livelli particolarmente bassi di volatilità di breve periodo tendono a coincidere con l'esaurimento delle spinte rialziste. Ma il seguito è degno di nota: Wall Street va in congestione, il che non esclude un nuovo, marginale massimo, prima di un minimo dal quale il mercato sistematicamente riparte.
A venerdì, l'HVI sfiorava il 50%. Una penetrazione di questa soglia suggerirebbe l'imminenza di un top, che precederebbe una complessa fase non direzionale, come argomentato. Vedremo cosa sanciranno le prossime sedute.